Basilica di San Martino
Simbolo insigne del rococò martinese, monumento emblema di un'intera stagione artistica, nonché fucina per i massimi rappresentanti dell'architettura, della scultura e della pittura, la Basilica di San Martino, dedicata al santo patrono, San Martino vescovo di Tours vissuto nel IV secolo d.C., sorge sul sito che ha visto nascere ben tre edifici. Il primo edificio risaliva al periodo pre-angioino, era alquanto modesto, e occupava all'incirca l'area dell'attuale presbiterio. Sulla stessa area in pieno periodo medievale fu edificato il secondo tempio, in stile tardo-romanico a tre navate, grande all'incirca quanto l'attuale chiesa. E infine, a causa nel terremoto del 1743 e del nuovo stile architettonico che ormai alleggiava in città, l'arciprete Isidoro Chirulli, con l'assenso dell'intero Collegio del Capitolo, il 5 maggio del 1747 fece porre la prima pietra dell'attuale tempio rococò.
La progettazione dell'edificio fu elaborata da un ingegnere bergamasco residente a Martina, Giovanni Mariani, mentre la scultura monumentale, che solennizza la verticalità della facciata, fu opera di Giuseppe Morgese e dei figli Francesco e Gaetano Morgese, originari di Ostuni, insieme a Pasquale Montanini, scultore di Francavilla Fontana. In realtà Giovanni Mariani morì alcuni mesi dopo l'inizio dei lavori, quindi tutta la progettazione architettonica e gli elementi ornamentali furono rivisti e perfezionati da Giuseppe Morgese. I lavori del nuovo edificio settecentesco iniziarono gradualmente, senza distruggere completamente la chiesa persistente, al fine di consentire di officiare regolarmente. Infatti, dapprima si abbatté la facciata e man mano che i lavori proseguivano si buttarono giù i muri perimetrali e le colonne, sostituendo il vecchio con il nuovo.
La facciata alta 37 metri e poggiante su una base di 24 metri fu realizzata con pietra calcarea del luogo è ripartita in due ordini e divisa verticalmente da fasce di paraste con capitelli misti. L'elemento di maggior pregio artistico è l'altorilievo di San Martino che taglia il mantello. Il gruppo scultoreo è inserito all'interno di una conchiglia, elemento decorativo caratterizzante del roccocò, che a stento sembra contenere lo scalciare avvitante del cavallo, mentre San Martino con la spada taglia la clamide per donarla ad un mendicante seminudo. Sotto il gruppo scultoreo spicca il portale con timpano spezzato che sorregge due figure femminili. Nell'ordine inferiore sono presenti quattro nicchie con santi. Partendo da destra si riconoscono San Giuseppe con il Bambinello in braccio e il bastone fiorito, e San Paolo che regge l'elsa della spada, San Pietro che stringe le chiavi e infine San Giovanni Battista vestito con pelle di capra. Anche l'ordine superiore presenta altre due nicchie: quella di sinistra ospita Santa Comasia, santa compatrona della città, e Santa Martina a destra. In mezzo alle due nicchie la facciata è traforata da un finto balcone pontificale balaustrato, coincidente con la separazione dei due ordini, e sormontato da un frontespizio spezzato. Lateralmente il prospetto superiore è serrato da due serpentine sormontate da fiaccoloni. L'edificio si conclude alla sommità con un elaborato frontone, anch'esso decorato dai tipici fiaccoloni, recante al centro lo stemma del vescovo di Tours: una corona con una mitra episcopale.
La struttura esterna laterale è molto semplice ed è dotata di due ingressi laterali; uno a settentrione e l'altro a meridione. Tutti e due i portali sono coronati da timpani spezzati con dei cartigli dedicatori. Quello di meridione, con affaccio sul corso, nell'iscrizione latina ricorda il patrocinio di San Martino che salvò la città dall'epidemia bovina e dall'invasione dei bruchi. Mentre l'iscrizione epigrafica del portale di meridione ricorda che il santo patrono salvò la città dai terremoti, dalla peste e dalla carestia. Inoltre lungo il lato meridionale, collocati in alto, compaiono dei doccioni antropomorfi dalle sembianze beffarde. Proseguendo su questo stesso lato, per via Masaniello, si potrà scorgere la mole del campanile tardo-romanico. Il campanile attualmente si presenta mozzato nella parte superiore, in quanto nel 1768 il Capitolo preferì abbattere la cuspide molto alta e l'ultimo piano perché profondamente danneggiati dai terremoti e dai fulmini. Tuttora si può ammirare lungo i quattro lati la tipica decorazione romanica contrassegnata dagli archetti pensili e dalle finestre monofore.
La consacrazione della nuova fabbrica rococò avvenne dopo quasi trent'anni dall'inizio dei lavori ad opera di monsignore Francesco Saverio Stabile, vescovo di Venafro (Isernia), concittadino e canonico della Collegiata. Era il 22 ottobre del 1775. La Chiesa di San Martino ha sempre rappresentato un punto di riferimento importante non solo nell'arte ma soprattutto per i fedeli, infatti, il 22 aprile del 1998 il papa Beato Giovanni Paolo II l'ha elevata a Basilica Minore.
Interno della Basilica di San Martino
L'interno della basilica si presenta strutturato secondo i canoni della pianta a croce latina con un'unica navata. Varcata la bussola, sulla controfacciata vi sono un cavallo libero da briglie, simbolo della città di Martina Franca, e una lapide commemorativa con iscrizione latina che cita il riconoscimento del titolo di Collegiata concesso dal re Ferdinando II di Borbone nel 1842. Si tratta di una riconferma istituzionale, poiché la chiesa già nel lontano 1594 fu proclamata Collegiata. In alto spicca il finestrone corrispondente al balcone pontificale esterno con la vetrata di Marcello Avenali (1956), raffigurante la Liberazione di Martina dal leggendario assedio dei Cappelletti del 1529. Segue sul lato sinistro, all'interno di un'ampia nicchia dipinta con l'effetto di finti marmi policromi, un Battistero in marmo policromo sormontato dalla scultura del Battesimo di Gesù (1773) opera di Crescenzo Trinchese su disegno di Giovanni Battista Catalano. L'opera fu commissionata dall'abate Tommaso Caracciolo, infatti, lo stemma nobiliare del leone rampante campeggia sia sul cancelletto che sull'archivolto.
Il primo altare sulla sinistra è dedicato a San Girolamo Emiliani o Miani e fu commissionato nel 1775 dalla nobile Maria Idria Miani. La pala d'altare, operadi un pittore anonimo del Settecento, raffigura l'Apparizione della Vergine a San Girolamo Emiliani e riporta in basso lo stemma della famiglia Miani (tre fiori). Lateralmente sulla sinistra vi è una tela di Santa Martina, vergine e martire (XVIII secolo).
Sul pilastro intermedio, fra la prima e la seconda cappella, si colloca un'acquasantiera in marmi policromi la cui metopa è ornata dal bassorilievo di San Martino che concede la pioggia (XVIII secolo). Non a caso il santo patrono veniva invocato nei periodi di lunga siccità.
La cappella successiva, costruita nel 1764, è dedicata alla Natività, infatti, sulla parete di fondo campeggia una tempera dell'Adorazione dei Pastori di Pietro Cataldo Mauro realizzata nel 1777, restaurata nel 1853. In basso si collocano, come completamento dell'opera pittorica, delle statue cinquecentesche in pietra policroma raffiguranti il gruppo completo della Natività, attribuite a Stefano da Putignano, uno dei più grandi scultori rinascimentali pugliesi.
Prima di giungere nell'area del transetto guardando in alto, in corrispondenza delle porte di accesso laterale, si aprono due finte tribune, disegnate da archi bifori sospesi, sul cui peduccio sono aggrappati due graziosi putti, che come sottolineò lo storico De Giorgi nel 1882: "fanno delle prove di ginnastica sui frontoni spezzati".
Sul pilastrone, che separa la navata dal transetto, è affissa in alto una lapide che ricorda la solenne consacrazione del tempio dedicato a San Martino ad opera dell'Arcivescovo Francesco Saverio Stabile il 22 ottobre del 1775.
Siamo nell'area del transetto, dove in seguito ai recenti restauri, sono stati riportati alla luce i dipinti murali delle lunette realizzati all'inizio del 1900. Nelle lunette del transetto di sinistra sono riprodotte le scene della Dormizione di San Martino e dell'Assedio dei Cappelletti, mentre l'unica che si è conservata nel transetto di destrariproduce San Martino e il povero.
Nel transetto di sinistra si trova l'altare in pietra policroma dell'Arcangelo Raffaele con la tela settecentesca, attribuita a Domenico Carella, e raffigurante l'Arcangelo Raffaele e Tobiolo sulla riva del fiume Tigri. Nella testa del transetto si colloca l'altare marmoreo di Cristo alla Colonna. Questo altare fu progettato da Gennaro Sanmartino e realizzato dal marmoraro Giuseppe Varriale, artisti napoletani di grande pregio. Infatti, la loro presenza a Martina Franca dimostra chiaramente come la committenza locale fosse molto avvezza a richiedere artisti di chiara fama provenienti da Napoli, che nel Settecento rappresentava la fucina artistica italiana di maggior spessore artistico ed estetico. Basti pensare che Gennaro Sanmartino era il fratello di Giuseppe Sanmartino, l'autore della celeberrima scultura del Cristo velato, custodita presso la cappella di San Severo a Napoli, e considerata una delle opere più suggestive del barocco italiano.
L'altare fu commissionato nel 1775 da Francesco Saverio Stabile, vescovo di Venafro e natio di Martina, che fece apporre il proprio stemma sulle fiancate dell'altare (stesso blasone si trova sulla facciata di Palazzo Stabile). Sul paliotto dell'altare è riprodotto il Volto sindonico del Cristo, opera di grande maestria, tanto da far supporre l'intervento diretto dello stesso Giuseppe Sanmartino. Nella nicchia è conservata la scultura, realizzata su tronco di ulivo, del Cristo alla colonna (1622) opera di Giacomo Genovivi, scultore di Gallipoli. L'opera è di forte matrice barocca in quando l'espressione del Cristo è carica di un intenso pathos drammatico, riuscendo a suggestionare profondamente il fedele. L'ultimo altare rococò collocato del transetto è dedicato alla Madonna di Costantinopoli eretto fra il 1764 e il 1775. La tela raffigura la Madonna con Bambino e l'Arcangelo Michele e San Gaetano da Thiene, anche questa è attribuita a Domenico Carella. Interessante è lo scorcio che si apre ai piedi dei santi; una città avvolta dalle fiamme e circondata da torrioni e cinta muraria, forse potrebbe trattarsi di una vista panoramica della città di Martina settecentesca, sulla quale sotto forma di fiamme si estendeva la protezione della Vergine.
Siamo di fronte all'altare maggiore, in marmo policromo, opera di grande spessore artistico e architettonico. Si noterà la somiglianza stilistica con l'altare del Cristo alla Colonna, infatti, anche questo fu progettato da Gennaro Sanmartino e realizzato dal marmoraro Giuseppe Varriale nel 1773 dietro commissione di Pietro Simeone, noto munifico del Settecento martinese. La nicchia centrale ospita la statua litica policroma di San Martino in paramenti vescovili,scolpita da Stefano da Putignano nel 1518. Sui corni dell'altare spiccano due sculture in marmo bianco realizzate dal grande Giuseppe Sanmartino; sulla destra è posizionata l'Abbondanza, mentre sulla sinistra la Carità. Dietro l'altare si apre il coro ligneo realizzato da maestranze locali nel 1775.
In alto, al centro, spicca la vetrata dell'Incontro di San Martino con il Povero, anche questa realizzata da Marcello Avenali (1956), mentre sulla parete di sinistra è posizionato il dipinto ad olio di Michelangelo Capotorto raffigurante la Pentecoste (1769), e di fronte, sulla destra, si apre la grande macchina sonora dell'organo (1927), celato da un'immensa balconata lignea con decori dorati.
Prima di proseguire la visita del lato destro della basilica, introduciamoci nella cappella del Santissimo Sacramento, che si apre sulla sinistra dell'altare maggiore. Nella parete di sinistra, adiacente all'ingresso della cappella, si noterà in una teca la statua della Madonna Pastorella risalente al Settecento. Si tratta di una scultura lignea, vestita riccamente con abiti ricamati con filo d'oro, riproducente la Madonna che negli abiti da Pastorella difende il gregge di Cristo dal Male, allegoricamente rappresentato da un lupo nero che viene respinto dalla punta aguzza del vincastro. Il soggetto è molto diffuso nelle edicole votive del centro storico e nelle masserie. Entriamo, ora, nella cappella del Santissimo Sacramento, detta anche il Cappellone, realizzata fra il 1776 e il 1785 per volontà della Confraternita del Santissimo Sacramento, nata in simbiosi con la chiesa fin dalle origini e documentata fin dal 1544 (l'oratorio attuale si trova alle spalle della chiesa). Il Cappellone fu abbellito con stucchi policromi e il marmoraro napoletano, Raimondo Belli, realizzò la macchina d'altare, completata dal grande dipinto ad olio di Domenico Carella nel 1804 e raffigurante l'Ultima Cena. L'opera è firmata e datata in basso con la seguente scritta: DOMINICUS CARELLA / SENIOR FECIT 1804. Il dipinto esprime la piena maturità artistica del Carella che rivoluziona lo schema iconografico dell'ultima cena inserendo la scena del banchetto, riccamente apparecchiato, in mezzo ad un possente colonnato e animandola con servitori indaffarati e con angeli svolazzanti che reggono un pesante tendaggio, quasi fosse una scena teatrale. Al centro la lucerna, sorretta da un groviglio di angeli, illumina i gesti solenni dell'istituzione dell'eucarestia. Domenico Carella è anche l'autore dei Quattro Evangelisti dipinti nelle quattro vele della cupola nel 1785.
Riprendiamo la visita della basilica, uscendo dal Cappellone e spostandoci sulla destra del presbiterio. Qui si trova il Tesoro della Basilica. All'interno di un armadio a muro sono custoditi i preziosi arredi liturgici della basilica. Si annovera un numero consistente di calici, turiboli, ostensori, cartaglorie, navicelle, reliquari ecc, ma in maniera specifica emergono le statue reliquario di San Martino e Santa Comasia, santi patroni della città. Le due statue sono lavorate in argento cesellato, sbalzato e bulinato con dorature. Le due opere provengono dalla bottega napoletana dell'orefice celeberrimo Andrea De Blasio che nel 1700 realizzò San Martino e nel 1714 Santa Comasia. Un altro importante elemento è il Reliquario di San Martino, foggiato dell'orafo napoletano Antonio Attingendo nel 1712.
Siamo nel transetto di destra, dove si colloca l'altare in pietra di Santa Comasia eretto nel 1764 e contenente la statua reliquario in legno dorato della Santa, opera di botteghe leccesi del XVII secolo. Questo è l'unico altare in pietra ad essere ornato da due angeli porta candelieri, quasi a voler sottolineare l'importanza religiosa, dato che nel tabernacolo, all'interno di una cassa in zinco sono conservate le reliquie di Santa Comasia, traslate qui dal cinque novembre del 1764. La porta adiacente conduce alla sacrestia, che oltre a custodire opere pittoriche di notevole importanza, mette in evidenza la struttura tipicamente medievale del vano.
Nella testa del transetto si trova l'altare neoclassico dedicato a Maria Ausiliatrice la cui statua lignea è stata realizzata nel 1919 e si adorna di una corona in oro realizzata da Daniele Libardi, orafo martinese. L'ultimo altare presente nel transetto è quello dedicato a Santa Martina, che fu eretto in pietra fra il 1770 e il 1775. Ospita nella nicchia Santa Martina, considerata "patrona meno principale", anche questa realizzata in legno da botteghe leccesi nel XVIII secolo.
Proseguendo verso l'uscita principale della chiesa si potrà ammirare il pergamo in legno sospeso a muro (1830), e l'altare dell'Addolorata, eretto nel 1784, fu rifatto nel XIX secolo con l'inserimento della scultura ottocentesca dell'Addolorata.
Sul pilastrone, prima dell'ultima cappella, si trova la seconda acquasantiera il cui bassorilievo raffigura Mosè trae l'acqua dalla roccia (XVIII secolo). L'ultima cappella è dedicata al Santissimo Crocifisso. L'altare in pietra, elevato nel 1765, ospita al centro il Crocifisso ligneo attribuito allo scultore pugliese Riccardo Brudaglio in pieno Settecento. Sulle pareti laterali sono posizionati dei dipinti settecenteschi del Calvario di Gesù.
L'ultimo sguardo, prima di uscire, si sofferma sulla lapide, laterale alla bussola, che ricorda l'elevazione della chiesa a basilica nel 1998 per volontà del Beato Papa Giovanni Paolo II.
INFO: il monumento è sempre aperto e dispone di un accesso agevolato con rampa sul lato destro.
INDIRIZZO Piazza Plebiscito - Orari: 7-30-12.30 - 16.30-23.00
S.Domenico
I lavori dell'attuale Chiesa di San Domenico, in stile barocco, furono avviati il 23 maggio del 1745 e terminati intorno al 1753.
Si tratta della seconda chiesa sorta su questo sito, infatti, qui esisteva un'antica chiesa medievale dedicata a San Pietro Martire, che a causa dei gravi danni subiti durante il terremoto del 1743 si preferì abbatterla e rifarla completamente, affidando il progetto ad un frate domenicano, Fra Antonio Cantalupi. Lavorarono alla fabbrica due mastri muratori di notevole esperienza: Calmerio del Vecchio e Michele Cito. Il primo, quello più noto, era di origine leccese ed essendosi sposato a Martina Franca si adoperò molto per le committenze religiose diffondendo i canoni estetici leccesi della sua terra natia, infatti, questo spiega i forti rimandi al barocco leccese che questa chiesa nel suo aspetto decorativo più di ogni altro monumento martinese suggerisce.
L'attuale chiesa misura 36 metri in lunghezza, 13 metri in larghezza e 18 metri in altezza. La facciata non è molto alta a causa del modesto spazio urbanistico in cui l'edificio nasceva, e perciò si preferì arricchire il prospetto con elementi decorativi caratterizzati da un notevole vigore plastico di impronta leccese. Per questo motivo la facciata della Chiesa di San Domenico, più di ogni altra, è di chiara ispirazione leccese che si riscontra principalmente nell'originalità dei capitelli antropomorfi del primo ordine. Questi raffigurano delle sirene alate circondate da foglie di acanto e festoni di melograni; palesemente ispirati ai capitelli che si trovano sulla facciata del Palazzo del Seminario a Lecce, costruito nella seconda metà del XVII secolo.
Il prospetto si fonda sulla tripartizione della facciata attraverso paraste congiunte tra loro tramite variegati elementi decorativi sistemati su un impianto a doppio ordine, sul quale spiccano il portale in basso e il finestrone in alto. Il portale di ingresso, delimitato da una raffinata modanatura, sorregge sulla trabeazione lo stemma del Vaticano (due chiavi incrociate) e lateralmente è abbellito da due volute sulle cui sommità sono adagiati due putti nell'intento di dare fiato ai corni. Al centro, spicca, sotto una corona floreale sorretta da due putti, all'interno di una cornice riccamente lavorata, lo stemma dei Domenicani (un cane con la fiaccola in bocca). Sul primo ordine della facciata, oltre alle paraste con capitelli figurati, si distinguono lateralmente al portale due riquadri delineati da cornici che sostituiscono le tradizionali nicchie con statue.
Il primo ordine è separato da quello successivo attraverso un marcapiano aggettante con cornice dentellata che taglia per lungo tutta la facciata. L'ordine superiore, pur sempre marcato da paraste con capitelli ornati da foglie di acanto e da puttini, è dominato da uno straordinario finestrone mistilineo, cesellato e rifinito da una pregiata cornice lavorata con cordoli e foglie di acanto, sormontato all'apice da un angelico cherubino inserito in mezzo a due volute reggenti un cartiglio. Questo finestrone dalle ridondanti linee barocche rappresenta un unicum nel contesto settecentesco, giacché sostituisce il tradizionale rosone o balcone pontificale, che di solito si trovano sulle sommità delle facciate religiose. E infine l'ultimo tocco di barocco si respira in alto, dove un timpano spezzato e arricciato alle estremità funge da fastigio, e lateralmente lungo i corni della facciata, i canonici fiaccoloni ne delimitano lo slancio verticale.
INFO: l'accesso alla chiesa è facilitato attraverso una rampa collocata nel convento adiacente che conduce direttamente al suo interno.
INDIRIZZO
Via Principe Umberto - orari:7.30-12.30 - 16.30-20.30
Chiesa del Carmine
All'inizio del Seicento giunse a Martina l'Ordine Carmelitano che si stanziò in un sito, fuori le mura, dove esisteva già una cappella cinquecentesca dedicata alla Madonna della Misericordia. Nel 1614 i Carmelitani avviarono la costruzione del convento, che verrà ristrutturato nei secoli successivi fino ad assumere nel periodo fascista il ruolo di O.N.M.I. (Opera Nazionale Maternità e Infanzia).
A distanza di un secolo dalla costruzione del convento, Frate Pietro Tommaso Carbotti decise di ricostruire la chiesa, ponendo la prima pietra il 15 marzo del 1727. In realtà, se si osserva attentamente sulla facciata, all'altezza della prima cornice del marcapiano, all'interno di un cartiglio è incisa la seguente iscrizione: A SOLO ERECTA / 1730, (Eretta dalle fondamenta nel 1730). Questa data indica solo l'ultimazione del primo ordine e non di tutta la chiesa, che fu conclusa intorno al 1758.
Il progettista, la cui identità è ancora oggi fonte di discussione, concepì una struttura architettonica ritmata da un gioco continuo di timpani curvilinei e troncati, conferendo movimento e plasticità al prospetto, ed enfatizzandolo con l'aggiunta di svolazzi barocchi disseminati su tutta la facciata. In realtà, anche se non si è certi, più di qualche studioso avanza l'ipotesi che l'architetto sia il leccese Mauro Manieri, formatosi a Roma all'ombra dei modelli del Borromini, e che una volta rientrato in Terra d'Otranto abbia riproposto lo stile borrominiano su diversi edifici; come ad esempio la cattedrale di San Cataldo a Taranto (1713). In effetti, il modello proposto sulla facciata della chiesa martinese sembra una contaminatio fra la facciata romana dell'Oratorio dei Filippini del Borromini e la facciata tarantina del San Cataldo del Manieri. Il timpano spezzato e rovesciato del portale di ingresso e la cimasa mistilinea sono una chiara citazione del linguaggio architettonico del Borromini, oltre alla perfetta ripartizione dei volumi. L'edificio è scandito in senso verticale da paraste con capitelli e in senso orizzontale da cornicioni aggettanti. La parte superiore della chiesa è divisa in tre campate, mentre quella inferiore in cinque, di cui le due estreme sono leggermente più arretrate conferendo alla facciata un senso di dinamismo. Il portale è molto semplice, non presenta nessuna cornice particolare, fatto salvo la decorazione superiore che è molto ricercata. Infatti, su dei peducci, ornati con foglie di acanto, sono impostati i due timpani spezzati arricciati alle estremità. Al centro si colloca una mandorla con l'effigie in argilla della Madonna del Carmine, che sembra quasi essere sorretta, o meglio portata in volo, da un cherubino paffuto con ali spiegate. Sul primo ordine all'interno di due nicchie, la cui volta è cinta da conchiglie, si distinguono due statue; a destra, Sant'Alberto di Trapani, e a sinistra, San Pier Tommaso. L'ordine superiore è dominato da una finestra-balcone con timpano curvo, decorato all'interno da volute, e da una balaustra con colonnine foggiate, adagiate sul cornicione. Lateralmente ci sono due nicchie ospitanti due statue ex-novo di recente fattura. A destra, si trova Santa Teresa D'Avila e a sinistra, San Giovanni della Croce. La facciata termina in lato con un timpano mistilineo contenente centralmente lo stemma dell'Ordine dei Carmelitani (palma del martirio incrociato con il giglio fiorito e la stella caudata). Anche questa facciata, come quelle dei monumenti più rappresentativi, è dominata superiormente e lungo i fianchi dai tipici fiaccoloni in pietra.
Le pareti laterali della chiesa sono realizzate con pietra sporgente evidenziando l'enorme mole dell'edificio e sottolineando l'imponenza e la ponderatezza della fabbrica. Sul lato sinistro si può ammirare la cella campanaria aperta da quattro fornici con balaustra. Si riesce anche ad osservare l'enorme tamburo, traforato da finestre molto ampie, che culmina in alto con un'elegante lanterna.
Interno della Chiesa del Carmine
L'interno della chiesa è a croce latina con una sola navata. Lungo le pareti si aprono due cappelle per lato e in fondo un ampio transetto e presbiterio con ballatoio superiore. Tutti gli altari sono in pietra locale intagliata e dipinta tranne quello maggiore che è realizzato con marmi policromi. La decorazione interna è realizzata con intonaci e stucchi che riproducono l'effetto del finto marmo policromo. Questi abbellimenti in massima parte furono realizzati sotto la committenza dei Padri Liguorini, fra il 1859 e il 1865, con l'intento di riportare la chiesa del Carmine al suo antico splendore dopo la soppressione napoleonica dell'Ordine dei Carmelitani. Fra questi interventi quello di maggior effetto scenografico è la decorazione realizzata con stucchi colorati che avvolge tutta la volta e la cupola. Nel 1886, dopo la partenza dei Liguorini dalla chiesa, fu la confraternita ad assumere la gestione religiosa e materiale della chiesa.
Iniziamo la visita interna partendo dalla prima cappella di sinistra, dedicata alla Madonna della Libera. Qui si conserva la tela firmata e datata da un pittore martinese, Giovanni Stefano Caramia, dal titolo la Madonna della Libera fra i Santi Michele Arcangelo e Eligio (1660). L'opera si ispira ai canoni estetici del barocco privilegiando l'uso di cromie brillanti, l'infinita dilatazione degli spazi e la ricerca quasi fiamminga dei particolari che definiscono le singole figure. Sulle pareti della cappella si possono ammirare due dipinti settecenteschi; sulla sinistra vi è la tela del Beato Angelo Mazzinghi, mentre sulla destra quella del Beato Franco da Siena, realizzata precisamente nel 1725 da Carlo Domenico De Gesù, oriundo di Martina Franca. La seconda cappella, dedicata allo Spirito Santo, accoglie due sculture moderne in legno di Enrico Moroder da Ortisei: la Pentecoste (1995) e i Beati Giovanni Paolo II e Madre Teresa di Calcutta (2007). Interessante artisticamente è il dipinto della Deposizione del 1744 che si trova sulla parete sinistra. Esso fu realizzato da suor Maria di Gesù Martucci, monaca bizzoca e pittrice devozionale martinese, che si cimentò in una copia dello stesso soggetto realizzato da Leonardo Antonio Olivieri.
Siamo nel transetto; sulla parete di sinistra spicca la tela di Santa Filomena, datata nel 1878 e firmata da Antonio Semeraro, pittore di Locorotondo. Nella testata del transetto, si colloca l'altare della Madonna del Carmelo, detta la Bruna, per il colore scuro della pelle. L'ancona riproduce la Madonna del Carmelo fra Sant'Alberto da Trapani e Sant'Angelo di Sicilia; databile nella seconda metà dei Seicento e firmata da MP, pittore di cui ancora si ignora la vera identità. Le pareti di fondo ospitano due dipinti del Settecento attribuite a Pietro Cataldo Mauro; in alto a sinistra, l'Assunzione della Vergine e a destra, l'Incoronazione della Vergine. Sulla parete di destra del transetto all'interno di una teca si custodisce la statua vestita della Madonna del Carmine (secolo XIX), portata in processione in occasione dei festeggiamenti solenni. Questa viene definita dal popolo la Scapigliata, pervia della lunga chioma che sventola durante le processioni. In alto sulla stessa parete vi è il dipinto della Madonna del Carmelo che salva un cacciatore in pericolo. L'opera risale al Settecento e raffigura un incidente di caccia occorso a Ettore Blasi (lo stemma della casata compare in basso a destra), figura di primo piano nella vita politico-amministrativa martinese del secondo Settecento e fervente devoto della Madonna del Carmine. Scampato al pericolo, insieme a un suo vaccaro, Ettore Blasi si recò in chiesa a rendere grazie alla Madonna e volle ricordarne con questo quadretto l'intercessione miracolosa.
Arriviamo al presbiterio, dominato a metà altezza da ballatoio con balaustra che sovrasta uno splendido altare in marmo policromo del Settecento. La pala d'altare, inserita all'interno di una fastosa cornice con una cordonatura a festoni intrecciati, raffigura la Madonna del Carmelo e i Santi Simone Stock, Elia ed Eliseo. La tela fu dipinta da Pietro Cataldo Mauro nel 1760 e nel 1765 lo stesso pittore aggiunse tredici ovali con episodi miracolosi della Madonna del Carmine. L'altare maggiore fu consacrato nel 1759 dall'arcivescovo Francesco Saverio Stabile, molto devoto della Madonna del Carmine, tanto da riportare la stella caudata all'interno del proprio stemma familiare. Questo stesso arcivescovo a distanza di decenni, precisamente nel 1775, inaugurò anche la nuova fabbrica di San Martino.
Dietro l'altare si conserva il pergamo in legno intarsiato e intagliato da Domenico Semeraro (1859) e nel muro è incassata la tomba di Maria Lacarbonara (1865), madre di un noto chirurgo dell'Ottocento martinese, Giuseppe Testa, che si distinse per lustro e fama a Napoli.
Proseguiamo la visita spostandoci nel transetto di destra, non senza aver dato uno sguardo in alto per ammirare la stupenda decorazione della cupola ottagonale impostata su un tamburo con finestre polilobate. La decorazione dell'intradosso, realizzata con stucchi policromi nell'Ottocento, è caratterizzata da rosoni esagonali che creando uno spettacolare effetto decrescente verso il lanternino con Occhio di Dio a tromp d'oeil. Nello stesso secolo furono realizzati da Vincenzo Buscicchio da Taranto gli altorilievi dei Quattro Evangelisti, posizionati sulle vele. Le quattro sculture, collocate nelle nicchie, ricavate all'interno dei costoloni che sorreggono la cupola, furono inserite all'inizio del Novecento.
Sulla parete di sinistra, sopra l'ingresso che conduce in sagrestia, si trova la tela settecentesca del Riposo durante la fuga in Egitto. Approfittiamo per entrare in sacrestia. Il vano è completamento arredato da armadi in noce scuro intarsiati (1773), attribuiti ad un ebanista martinese, Martino Marinosci, e commissionati dal Padre carmelitano Pietro Tommaso Martucci. Nella nicchia centrale, di fronte all'ingresso si conserva una scultura litica policroma della Madonna. L'opera, dalle fattezze dozzinali, è attribuita alla scuola rinascimentale di Stefano da Putignano. Una curiosità; se vi avvicinate e guardate il mantello che scende sulla destra troverete un foro. Secondo la tradizione locale quel buco fu causato da uno sparo durante il leggendario assedio dei Cappelletti nel giugno del 1529. Sulle pareti superiori sono collocate molto opere di diverso periodo. Partendo dalla parete sulla sinistra, sull'ingresso che introduce nel presbiterio, si trova collocata l'opera di Leonardo Antonio Olivieri, firmata in basso a destra nel 1720, con l'immagine della Madonna del Carmelo con San Simone Stock e confratelli. Questa tela è la prima opera documentata del celebre pittore martinese, trasferitosi a Napoli alla bottega di Francesco Solimena, dove ebbe modo di perfezionare il suo talento naturale. Seguono altre opere, di autori anonimi e di datazioni differenti, nell'ordine; Gesù tra i dottori, Ascensione di Cristo, Resurrezione di Cristo, Deposizione dal sepolcro con santo Vescovo e anime purganti, Trasporto di Cristo al sepolcro. Quest'ultima risale all'inizio del Novecento e si tratta di una perfetta copia dello stesso soggetto realizzato da Antonio Ciseri nel 1883 e conservata presso il Santuario della Madonna del Sasso ad Orselina (comune svizzero del Canton Ticino). Dalla sacrestia è possibile accedere all'Oratorio dell'Arciconfraternita del Monte Carmelo.
Ritorniamo in chiesa. Sulla testata del transetto si colloca l'altare con la pala del XVIII secolo della Transerberazione di Santa Teresa D'Avila. Sulle pareti in alto trovano spazio due dipinti ad olio; a sinistra, i Santissimi Medici, mentre a destra, il Cristo caduto sotto la croce. Entrambi del Settecento, così come dello stesso secolo è la copia della Natività della Vergine dell'Olivieri (l'originale è conservata nell'Oratorio della Confraternita dei Dolori della vergine, vico Cavour). Questa riproduzione è attribuita a Pietro Cataldo Mauro nel 1776.
Proseguendo verso l'uscita; nella seconda cappella vi è la scultura lignea del Cristo Crocifisso, datata nel 1630 e realizzata da Giacomo Genovini, scultore gallipolino. Nell'ultima cappella vi è una tela del 1806, opera di ignoto autore locale, raffigurante la Deposizione di Cristo dalla croce (copia da Jusepe de Ribera detto lo Spagnoletto). Sulla parete laterale alla bussola è murato un bassorilievo raffigurante la Madonna del Monte Carmelo con le anime purganti (1934), opera di Francesco Corrente, scultore martinese, detto il Marcomagno, inserito all'interno di una cornice originale del Rinascimento.
INFO: la chiesa è facilmente accessibile
INDIRIZZO Via Pergolesi - Orari: 7.30-12.30 - 16.30-20.30
Chiesa di S.Francesco di Assisi
L’Ordine Francescano dei Conventuali, volgarmente detto dei francescani neri, giunse a Martina sul finire del XVII secolo e ottenne il permesso dall’Università di edificare un nuovo luogo di culto a ridosso della Porta di San Nicola. In realtà era il secondo complesso dei Conventuali che nasceva a Martina. Il primo era sorto fra il 1473 e il 1653 a ridosso della Valle d’Itria, per poi essere distrutto e donare le rendite alla nascita del convento di clausura femminile di Santa Maria della Purità delle Agostiniane (piazzetta Don Bosco).
I Conventuali nel 1680 iniziarono i lavori di costruzione sia della chiesa che del convento. Quest’ultimo fu concluso nel 1718 e dieci anni dopo fu ultimata anche la chiesa. Una volta terminati gli edifici, i lavori interessarono le rifiniture degli interni coinvolgendo degli abili scalpellini leccesi per realizzare gli otto altari in stile barocco.
La struttura attuale misura in lunghezza 32 metri, in larghezza 14 metri e in altezza 11 metri. La facciata della chiesa non è quella originale del Settecento, poiché fu ricostruita parzialmente nell’Ottocento in seguito alla distruzione causata da un uragano che nell’ottobre del 1852 vi si abbatte contro. La facciata ha un'impostazione simmetrica molto razionale e nitida. La partitura è scandita da quattro esili paraste ed è divisa in due ordini da un cornicione centrale aggettante. Superiormente termina con una cimasa definita da due volute e da due fiaccole in bassorilievo.
L’attuale prospetto, anche se profondamente modificato, pur nella sua semplicità mostra caratteri barocchi che si evidenziano specialmente sul portale. Infatti, questo centralmente è delimitato da due colonne scanalate con capitelli compositi e piedritto reggenti un timpano spezzato decorato. La trabeazione presenta una raffinata decorazione con girali vegetali, mentre una delicata cornice di foglie di acanto e grani di rosario avvolge tutta la modanatura del portale. Al centro del timpano spezzato, all’interno di una nicchia con timpano classicheggiante e lesene scanalate si colloca la statua dell’Immacolata, protettrice di tutte le comunità francescane. Lateralmente si aprono due finestre monofore. Alle estremità del primo ordine, all’interno di due nicchie decorate da volute, si inseriscono le sculture dei santi più importanti dell’ordine: Sant’Antonio da Padova, a destra e San Francesco d’Assisi, a sinistra. Nell’ordine superiore si apre un finestrone con timpano curvo rivestito da vetrate colorate.
La chiesa è anche Santuario di Cristo Spirante, infatti, qui si venera una raffinata scultura settecentesca, recentemente restituita al suo antico splendore. Questo culto fu introdotto nel Settecento con una cerimonia liturgica specifica che si svolgeva ogni venerdì pomeriggio.
Nel convento adiacente, in seguito alla soppressione murattiana del 1809, i locali furono utilizzati dapprima come ospedale civile, laboratorio e orfanotrofio gestiti dalle Figlie della Carità e poi negli ultimi decenni come ospizio. Oggi alcuni locali del convento ospitano degli uffici comunali, mentre altri accolgono la Confraternita di Sant’Antonio da Padova, fondata nel 1706 dal frate conventuale Francesco Antonio Spennati. All’interno dell’oratorio si conserva un ipogeo sepolcrale, testimonianza dell’antico culto per i defunti da parte dei confratelli. La confraternita organizza ogni anno la processione dei Misteri della Passione di Gesù istruita nel lontano 1716. Durante la processione per le vie della città vengono portate a spalla ben 13 statue a grandezza naturale realizzate in carta pesta policroma e con gli incarnati fatti in legno colorato. Le sculture sono di manifattura napoletana, databili intorno al XIX secolo, e per tutto l’anno sono custodite all’interno dei locali della confraternita.
L’abito tradizionale dei confratelli è costituito da un sacco bianco, una mozzetta marrone con l’effigie del santo patavino e dal cordone francescano. La confraternita festeggia solennemente Sant’Antonio da Padova la domenica dopo il 13 giugno.
Interno della Chiesa di San Francesco d’Assisi
L’interno, semplice ma allo stesso tempo solenne, funzionale al raccoglimento e all’intimità delle chiese francescane, si sviluppa in una vasta aula rettangolare, movimentata da ben otto altari riccamente scolpiti che la sobrietà della facciata non lascia presagire. E’ la chiesa barocca per eccellenza in cui gli altari laterali, intagliati nella pietra, sono abbondantemente ornati da colonnine tortili, puttini, girali, foglie di acanto, cornici mistilinee, timpani spezzati e fregi fantasiosi ispirandosi ai canoni più ricercati del plasticismo barocco leccese. Ogni altare è un tripudio di forme e di colori in cui oltre alla scultura e alla tela centrale presenta un ricco repertorio di statue mobili laterali che rendono ancora più fastosa e ricca la macchina d’altare. In molti casi le statue riportano alla base il nome scritto con l’intento di sottolineare l’aspetto didattico-devozionale che in una chiesa francescana si cercava di rendere quanto più immediato e comprensivo per il fedele.
Partiamo dal primo altare sulla sinistra. Fu realizzato nel 1710 per volere della famiglia Motolese, che fa apporre il proprio stemma alla sommità dell’altare (tre querce con tre volatili). La pala di altare è realizzata da un pittore anonimo del Settecento e raffigura l’episodio storico del 2 agosto 1216 quando La Vergine appare a San Francesco concedendogli il perdono di Assisi. Oltre alle colonne tortili l’altare si arricchisce di un vasto repertorio scultoreo; la statua di San Bernardino da Siena, a sinistra, e di Santa Chiara, a destra. In alto, sulla trabeazione vi sono le statue di San Pietro di Alcantara e di San Pasquale Baylon.
Il secondo altare fu costruito nel 1724 dal conte palatino Pietro Antonio Barnaba (proprietario del palazzo in via Mazzini n, 24), e fu dedicato a San Giuseppe, come chiaramente si può dedurre dalla scultura in pietra dipinta posizionata nella nicchia. In alto le sculture raffigurano sicuramente i santi onomastici di conte: San Pietro Apostolo e Sant’Antonio da Padova.
Segue la terza cappella, dedicata al Crocifisso, la cui pala d’altare ospita una tela del Settecento raffigurante il Cristo Crocifisso. Fino alla seconda metà del Novecento qui era collocata la scultura che attualmente sovrasta l’altare principale. La tela è fiancheggiata da due colonne tortili con la statua di Santa Maddalena, a sinistra e di Santa Veronica, a destra. In alto si collocano le statue di San Vito e di San Ciro martire con, al centro, il Volto di Cristo dipinto. Sotto l’altare, dietro una vetrata, è deposta la statua del Cristo morto.
L’ultima cappella sulla sinistra conserva la tela dell’Immacolata Concezione, opera attribuita a Nicola Gliri, pittore del Seicento originario di Bitonto molto attivo a Martina Franca. La cappella fu eretta a spese di donna Marsilia Fullone, donna martinese molto facoltosa vissuta fra il Seicento e il Settecento. Infatti, in alto sull’altare, è riportato lo stemma della sua famiglia: uno scudo con al centro un fascio di gigli legati assieme. Questa donna finanziò anche l’altare di San Francesco, l’altare di fronte. Ambedue gli altari sono stati scolpiti da Carlo Intini, sacerdote e prodigo scultore del Seicento originario di Putignano Questo altare si caratterizza perché l’artista sistema le sculture sui lati obliqui dei timpani spezzati, ponendo figure che impersonificano le virtù; come la Castità, a sinistra e la Purità, a destra, mentre nello spazio centrale appare il Padre Eterno. Il paliotto riproduce la Vergine Incoronata da due angeli in mezzo ad una fitta decorazione di girali e racemi.
L’altare maggiore, dedicato al Santissimo Sacramento, è stato ristrutturato in toto nell’ultimo decennio ed è dominato dalla scultura realistica del Cristo Crocifisso, attribuita a Giacomo Colombo, artista veneto molto attivo a Napoli fra la fine del XVII e XVIII secolo.
Proseguiamo la visita ammirando le cappelle che si sviluppano sull’altro alto. La prima cappella è dedicata a San Francesco d’Assisi e accoglie l’omonima scultura dipinta del XVIII secolo. Lo schema decorativo è identico a quello dell’altare dell’Immacolata, solo che questa volta sulle cornici oblique dei timpani sono adagiate due donne che simboleggiano la Sinagoga, a sinistra e la Chiesa, a destra, che stringe a sé l’agnello, allegoria della Passione di Cristo. Centralmente compare il Cristo in vincoli. Il paliotto di altare riproduce San Francesco e le anime purganti all’interno di una cornice delineata da una conchiglia sorretta da due angeli e da una copiosa decorazione naturalistica.
Anche la cappella successiva è dedicata ad un santo francescano: Sant’Antonio da Padova, la cui scultura in pietra dipinta troneggia al centro della nicchia su un basamento con volti di puttini. Lateralmente vi sono quattro piccole statue di sante vergini e martiri: Santa Barbara, a sinistra in alto, in basso Sant’Agata; a desta in alto, Santa Apollonia, in basso Santa Lucia. Nella parte superiore, al centro spicca una croce litica in mezzo a due angeli, mentre a sinistra si colloca San Nicolò e a destra Sant’Oronzo. Questa cappella è stata sottoposta a saggi di pulitura che hanno fatto emergere l’originale policromia degli altari velati dal bianco. Una scoperta artistica sensazionale che fa immaginare il meraviglioso tripudio cromatico che in epoca barocca doveva contraddistinguere questa chiesa. La stessa scoperta è emersa per il soffitto. Infatti, la copertura originaria era fatta con travi a capriata senza il controsoffitto, che fu realizzato con volta a cassettoni ottagonali nel 1880. I cassettoni attualmente si presentano dipinti con una vernice marrone, ma in seguito ad alcuni saggi-campione di pulitura è emersa su un ottagono una straordinaria decorazione floreale.
Il terzo altare si distingue per la statua in pietra dipinta di San Filippo Neri con ai lati San Rocco, a sinistra, e il Beato Andrea Conte, a destra. In alto, sulla trabeazione, al centro vi è San Giovanni Battista, affiancato da San Bonaventura da Bagnoreggio, a sinistra, e San Luigi (Luigi IX, re di Francia), a destra.
E infine l’ultimo altare dedicato a San Michele Arcangelo, ospita una tela con omonimo soggetto. Il dipinto fu compiuto da Pietro Cataldo De Mauro nel 1763 (iscrizione sul margine inferiore della tela). Lateralmente ad esso abbiamo, a sinistra, Santa Elisabetta d’Ungheria e, a destra, Santa Rosa da Viterbo.
INFO: la chiesa è facilmente accessibile.
INDIRIZZO
Piazza Mario Pagano - Orari: 7.30-12.30 - 16.30-20.30
Chiesa di Sant’Antonio da Padova
La chiesa con l’annesso convento fu eretta sul finire del XV secolo dai Frati Osservanti, un ordine francescano nato dopo le varie scissioni interne ai seguaci del Poverello d’Assisi. Il complesso fu intitolato a Santa Maria delle Grazie e fu edificato su un luogo fuori dalla cinta muraria e detto anticamente Santo Stefano. Sulla conferma della fondazione e intitolazione, in un cortiletto attiguo alla sacrestia, si trova un cartiglio che riporta la seguente iscrizione: SUB TUTELA / S. MARIAE GRATIARUM / A FUND. ERECTUS / A.D. 1497, (Sotto la tutela di Santa Maria delle Grazie dalle fondamenta fu eretto nell’anno del Signore 1497). Dopo appena un secolo, fra il 1594 e il 1599, il convento battezzato dal popolo Santo Stefano, dietro un’autorizzazione papale passò dalla gestione degli Osservanti ai Minori Riformati (anch’essi di ispirazione francescana). Questi ultimi vi rimassero fino alla soppressione post-unitaria del 1866. Verso la fine del XIX secolo la chiesa cambiò intestazione, assumendo quella attuale di Sant’Antonio da Padova.
Sia la chiesa che il convento, fra la fine del XV secolo e l’inizio del XVI secolo, furono costruiti in stile tardo-gotico per poi subire profonde alterazioni settecentesche e ottocentesche che hanno interessato sia l’interno che l’esterno. L’esempio più vistoso di questi rifacimenti è sicuramente la facciata della chiesa, che fu rifatta nel 1835 in stile neoclassico. La facciata è tripartita da quattro paraste che dividono le campiture in cui si aprono i tre ingressi, anticipando la stessa ripartizione all’interno. La facciata è asimmetrica, infatti, si noterà sulla sinistra un prolungamento della fabbrica, dovuto ad un ampliamento che fu eseguito solo sulla navata di sinistra nel Settecento. Su questa parete è collocata una nicchia con una Madonna e una lapide in ricordo dell’elevazione a parrocchia della chiesa nel 1959. Il portale principale è evidenziato da due coppie di colonne binate dell’ordine ionico montate su plinti alti. Il timpano è perfettamente delineato da una cornice dentellata che ne segue l’andamento triangolare. Il coronamento superiore della facciata è accentuato da una cimasa semicircolare con croce litica centrale e dai due spioventi laterali curvilinei sormontati dai quattro craste fiorite in pietra.
Sul lato destro si sviluppa il convento con ingresso autonomo. I frati francescani oltre al convento crearono anche un cimitero, nello spazio attualmente occupato dalla Villa Comunale, e si occupavano con fare caritatevole della sepoltura dei defunti. Questo stretto rapporto fra i frati e i cittadini portò nel 1570 alla nascita di un sodalizio dedicato all’Immacolata Concezione. Nella prima metà del XVIII secolo furono affrescate le pareti del chiostro da pittori rimasti anonimi. Attualmente si conservano solo gli affreschi del lato sinistro del chiostro, in parte di difficile lettura, in altri casi purtroppo gravemente danneggiati. Su alcune lunette si intravedono scene della Vita di San Francesco d’Assisi, mentre sui peducci sono riportati i volti di alcuni frati santi e beati dell’ordine. Interessante è la terza lunetta che propone i santi patroni della città: San Martino e Santa Comasia, in primo piano, e Sant’Antonio da Padova (nominato santo patrono meno importante della città nel 1531, in seguito all'intervento miracoloso durante l’assedio leggendario dei cappelletti), in alto al centro. Sullo sfondo è raffigurata la città di Martina Franca riconoscibilissima dall’Arco della Porta di Santo Stefano e dall’elevata Torre Campanaria a sinistra. Di grande interesse è anche la maestosa scultura della Madonna, databile nel XVI secolo; che si conserva in una nicchia in prossimità dell’ingresso del convento.
In fondo al porticato di destra si trova la Confraternita dell’Immacolata Concezione, che come si è detto nacque nel 1570, e fu istituzionalizzata ufficialmente come confraternita nel 1710, prendendo il nome di Confraternita dell’Immacolata degli Artieri, poiché vi aderirono moltissimi artigiani. Sotto i Frati Riformati i confratelli iniziarono la costruzione e l’abbellimento dell’attuale oratorio. La confraternita si fregia dell’aggettivo di Arciconfraternita essendo la più antica insieme alla Confraternita del Carmine.
Fra le opere artistiche di maggiore interesse custodite all’interno dell’oratorio citiamo la statua lignea scolpita nel 1693 da Nicola Fumo, artista napoletano di notevole spessore. Inoltre si conservano due tele importanti; la prima raffigura l’Immacolata Concezione fra San Gioacchino, Sant’Anna e il Bambinello, attribuibile stilisticamente a Leonardo Antonio Olivieri e la seconda, Sant’Elisabetta d’Ungheria incoronata dalla Vergine, firmata da suor Maria Gesù Martucci, talentuosa pittrice martinese del Settecento, nel 1754.
La divisa tipica della confraternita è costituita da un sacco e una mozzetta azzurra. Il giorno dell’Immacolata è la festività solenne.
INFO: sia la chiesa che il convento sono facilmente accessibile attraverso una rampa collocata sulla destra dell’immobile.
INDIRIZZO: Piazzetta Sant'Antonio da Padova
FESTE PRINCIPALI: 13 giugno - FESTA E PROCESSIONE DI SANT'ANTONIO DA PADOVA
8 dicembre - FESTA E PROCESSIONE DELL'IMMACOLATA CONCEZIONE
Interno della Chiesa di Sant’Antonio da Padova
L’interno si presenta trinavato, separato da due file di possenti di colonne in pietra che sorreggono per lato quattro archi a sesto acuto, decorate da capitelli con foglie di acanto e teste leonine. Questi sono gli unici elementi tardo-gotici conservatisi prima dei mutamenti radicali a cui fu sottoposta la fabbrica fra il XVIII e XIX secolo. Infatti, lo spazio interno fu profondamente modificato nel Settecento con l’ampliamento solo ed esclusivo della navata di sinistra, facendo perdere la simmetria volumetrica che caratterizza prevalentemente le chiese medievali. Nell'Ottocento fu operata una trasformazione ancora più radicale dei volumi. Questo avvenimento è ricordato da un’iscrizione commemorativa, su un pilastrone fra la seconda e terza arcata, che accenna ad un restauro secondo nuove forme nel 1835. Questa nuova forma consistette nel realizzare in pietra le volte di copertura sostenute da pilastri che inglobarono l’antica struttura gotica, nel rifacimento della facciata, nella creazione di un breve ambulacro all'ingresso, nella sopraelevazione del pavimento, che finì per coprire la base originaria delle colonne, e infine, nella creazione di un’abside semicircolare, abbattendo l’arredo ligneo del Seicento.
Cambiamenti profondi che non hanno cancellato alcune iscrizioni epigrafiche collocate nell'intradosso degli archi; il terzo a sinistra e il primo a destra, che segnano le date di costruzioni di due cappelle risalenti rispettivamente al 1499 e al 1500 ad opera di facoltosi martinesi.
Iniziamo la visita partendo dalla navata sinistra. La prima opera si colloca sulla parete che introduce nella navata, questa raffigura la Deposizione, si tratta di una tela dell’Ottocento di cui l’autore è rimasto anonimo.
Nella nicchia della prima campata si trova una scultura devozionale raffigurante San Giuseppe con Bambinello. Segue nella seconda campata la scultura del Cristo Crocifisso, opera in legno policromo scolpita dal Frate Angelo Pietrafitta, originario della Calabria e molto attivo come scultore, specializzato nei crocifissi, in Puglia nella seconda metà dei Seicento.
Nella terza campata, all'interno di un altare barocco in pietra è posizionata la tela settecentesca dell’Immacolata. Nella campata successiva, all’interno di una nicchia a muro, si conserva la scultura di Santo Stefano Protomartire, opera di Stefano da Putignano, realizzata in pietra policroma nel 1518. Nell’ultima campata si trova un altare barocco in legno intarsiato, opera di Frate Giuseppe da Soleto (XVII secolo) che contemporaneamente lavorava anche presso la chiesa dei cappuccini. La scultura lignea contenuta al centro raffigura San Pasquale Baylon (XVIII secolo) ed è di provenienza salentina. Lo stesso soggetto è riprodotto sul paliotto dell’altare. Nel prolungamento della navata sulla parete si trova una tela devozionale della Madonna con Bambino, di autore anonimo del Settecento.
L’altare maggiore fu completamento rifatto nel Ottocento. Accoglie al centro la grandiosa tela della Madonna delle Grazie con Santi, firmata da Leonardo Antonio Olivieri (1736), pittore martinese di notevole talento artistico. Essa è considerata l’epifania dell’Ordine Francescano, in quanto riproduce i santi più illustri dell’Ordine, caratterizzandoli con precisi riferimenti iconografici. Infatti, raffigura a destra Santa Chiara, Santa Lucia e Santa Rosa; sulla sinistra San Carlo Borromeo, San Pasquale Baylon, San Bonaventura da Bagnoregio. Sulla parete destra del presbiterio, all’interno di un riquadro a muro, vi è una scritta che ricorda che qui sono state deposte le ossa di un venerabile servo di Dio; Frate Vito da Martina morto nel 1648, a cui furono attribuiti diversi miracoli.
Continuiamo la visita spostandoci nella navata di destra, che ha conservato tuttora l’impronta medievale, non solo nelle dimensioni, ma soprattutto per i costoloni che definiscono la volta e per alcuni frammenti di affreschi murali. Sulla parete che conduce in sacrestia, si colloca un dipinto settecentesco del Riposo durante la fuga in Egitto con San Felice da Cantalice. Nella nicchia adiacente trova locazione una scultura di San Francesco d’Assisi. Nella terza campata, sempre all’interno di una nicchia a muro, si conserva la statua litica di Sant’Antonio da Padova, realizzata nel 1518 da Stefano da Putignano. Sul basamento si legge distintamente: SANTUS ANTONIUS DE PADUA 1518 / STEPHANUS E POTEIA……...ME…CELAVIT, (Sant’Antonio da Padova 1518. Stefano da Putignano scolpiva).
Nelle due campate successive, sui muri si riescono a distinguere alcuni frammenti di affreschi e sinopie, databili nel XVI secolo, con episodi della Vita di Santa Caterina di Alessandria e di San Lorenzo. Sulla parete dell’ultima campata si trova sistemata la tela della Concessione a San Francesco del perdono di Assisi, di autore ignoto del XVIII secolo.
Chiesa di Sant'Antonio dei Cappuccini
Immersa nel cuore della Valle d’Itria, a metà strada fra Martina e Locorotondo, l’attuale Chiesa di Sant’Antonio dei Cappuccini segna la storia di questo territorio. Infatti la Chiesa e Convento dei Cappuccini furono costruiti nel XVI secolo su un precedente insediamento dei monaci basiliani che officiavano secondo il rito bizantino e dipendevano dal Monastero di San Nicola di Casole vicino ad Otranto, fondato nel 1099. Questa comunità creò una grancia destinata alle attività agricole e una cripta ipogea con il dipinto della Madonna dell’Odegitria. Termine di origine greca che significa colei che conduce, che guida o che indica la strada. La presenza del culto della Madonna nell’Odegritria si diffuse in tutta la valle al punto tale che in Età Moderna finì con il denominare la valle come Valle d’Itria.
Nel XVI secolo giunsero i Frati Cappuccini, di ispirazione francescana, che decisero di costruire la chiesa e il convento sul sito preesistente dei monaci basiliani e traslarono l’immagine della Madonna dell’Odegitria dalla cripta ipogea all’interno della nascente chiesa. La cripta ipogea nel corso dei secoli fu completamente abbandonata e dimenticata. Solo nel giugno del 1988, due speleologi martinesi, calandosi in una cisterna, scoprirono in realtà che si trattava del primitivo insediamento dei monaci basiliani, che nel frattempo era stato sommerso da detriti. Oggi la cripta ipogea è stata valorizzata e in seguito alla bonifica del sito sono emerse due colonne originali in pietra che delimitavano il sito sacro. Attualmente si può visitare la cripta accedendo dall’atrio del convento sulla destra della chiesa.
I lavori di costruzione dell’attuale chiesa, in realtà dedicata all’Assunta, si conclusero nel 1590, come segna la data incisa sulla trabeazione del portale con al centro l’acronimo IHS; che in greco significa Iesous (Gesù Cristo) e in latino Iesus Hominum Salvator (Gesù Salvatore degli uomini). Se si scorge attentamente sulla facciata, poco più sopra la nicchia con l’Immacolata, è incisa un'altra data: 1698. Questa invece indica il rifacimento della facciata su disegno ed esecuzione di Frate Angelo Bruni di Martina, architetto e maestro nella lavorazione della pietra.
La facciata non presenta nessuna decorazione particolare, tranne l’inserimento intorno all’Ottocento di due finestre ovoidali ai lati del portale e di altre due finestre aggiunte più tardi. In alto, poco più sotto l’apice del tetto a timpano, si scorge una scritta: MARIA, quasi a voler ribadire l’intestazione della chiesa. Lungo il profilo superiore spiccano una croce litica e dei fiaccoloni. Il campanile a vela, con fattezze barocche, si trova sulla fiancata sinistra è fu realizzato nel 1757, come riporta chiaramente l’epigrafe sul fornice.
Affianco alla chiesa si sviluppa il convento dei Cappuccini che qui vissero per trecento anni fino alla soppressione napoletana di Gioacchino Murat e dell’Unità d’Italia nel 1863. Da allora fu destinato a diversi usi; come lazzaretto, concentramento per i prigionieri e centro di accoglienza per i bambini nel dopoguerra. Attualmente è retto dai Padri Somaschi. Attraversando il chiostro del convento è possibile raggiungere la cella che ospitò dal 15 agosto del 1620 all’aprile del 1621, San Giuseppe da Copertino, che a causa delle sue continue sbadataggini fu cacciato dal convento di Martina.
Interno della Chiesa di Sant’Antonio dei Cappuccini
La chiesa ha pianta longitudinale con l’apertura di tre cappelle molto profonde sul lato sinistro, mentre sull’altro lato vi è una sola cappella, altrettanto profonda, quella della Madonna dei Sette Dolori costruita nel 1756, come riporta palesemente l’incisione sulla chiave di volta.
La caratteristica pregevole della Chiesa dei Cappuccini è la raffinata arte ebanista che decora ogni altare. Si tratta di opere artigianali di elevato spessore artistico realizzate fra il Seicento e il Settecento. Le maestranze impiegate erano di origini venete, si parla dei cosiddetti marangoni, abili falegnami ed ebanisti che diffusero la loro arte in Terra d’Otranto. Queste maestranze vennero a contatto con i frati cappuccini ai quali in parte insegnarono l’arte. Considerando oltretutto che i frati erano soliti spostarsi da un convento all’altro in tutta Italia diventarono involontariamente ricettori di arte e di mestieri permettendo la fusione fra l’esperienza artistica religiosa e quella privata. Lunghissima è la lista dei mastri marangoni che lavorarono in questa chiesa, quasi tutti frati che non hanno lasciato il loro nome impresso da qualche parte perché essi lavoravano solo per la gloria di Dio.
Generalmente l’intarsio è bicolore. Per il fondo si usava il legno scuro del noce stagionato, mentre per le parti chiare si adoperava il bosso o l’acero. A volte spicca il terzo colore, il verde, ottenuto con vernici, come si può costatare sul paliotto dell’altare centrale. Ovunque c’è una ridonante minuzia di particolari quasi certosina che si dispiega nel consueto repertorio barocco di festoni, foglie di acanto, fiori, girali, volute, racemi, boccioli, uccelli esotici e tutto ciò che l’inventiva riusciva a rendere in chiave ebanista.
Iniziamo la visita della chiesa partendo dalla cappella di sinistra, che è dedicata alla Madonna dell’Odegitria. La parte centrale per secoli è stata coperta da un dipinto, ma in seguito a recenti restauri è stato rinvenuto l’affresco originario della Madonna dell’Odegitria con l’aggiunta posticcia delle figure della Maddalena e del Giovanni Battista. Ai lati della pala si collocano due dipinti del Settecento ispirati alla Vergine; sulla sinistra vi è l’Immacolata Concezione e sulla destra l’Assunta. Il coronamento di altare riproduce San Giuseppe con Bambino. Sulle pareti spiccano delle tempere del Settecento, anche se in parte debellate da interventi sciagurati operati nell’Ottocento, come l’inserimento della finestra ovoidale su una parete dipinta. Anche questi episodi sono ispirati alla vita della Vergine. Il soffitto è ricoperto da simboli allegorici e cartigli con versi tratti delle sacre scritture e inneggianti alla Vergine. Nelle lunette si narrano gli episodi della vita di Giacobbe; a sinistra, il Sogno della scala e, a destra, la Lotta con l’angelo.
La cappella successiva è dedicata a Sant’Antonio da Padova, santo di riferimento dell’Ordine. La pala centrale è datata del Seicento, opera di Fabrizio Fullone di Martina, e raffigura Sant’Antonio da Padova fra i Santi Domenico e Vito, in basso a sinistra è raffigurato il volto del potenziale committente. Il coronamento di altare riproduce l’immagine dell’Addolorata. A destra della pala si trovano due dipinti del Seicento: San Biagio a sinistra, e Santa Marina a destra. La terza cappella è dedicata alla Madonna delle Grazie, infatti, l’ancona raffigura la Madonna delle Grazie e i Santi Anna e Felice da Cantalice. Questo dipinto è firmato in basso da Nicola Gliri nel 1676 e fu commissionato da Ettore Blasi, di cui si riporta l’emblema familiare. Ai lati compaiono due ritratti di frati cappuccini; a sinistra, si colloca il dipinto del Beato Bernando da Offida e, a destra, compare San Bernardo da Corleone. Il pavimento di questa cappella conserva ancora l’antico rivestimento fatto con maioliche policrome realizzate da Vincenzo del Monaco di Grottaglie nel Settecento. Siamo di fronte all’esuberante macchina dell’altare maggiore che trova la sua acme nella tela centrale dell’Assunta, inserita al centro di un trittico. L’altare fu commissionato nel 1773 dal munifico benefattore Pietro Simeone a due marangoni di notevole valore: Frate Daniele Desiati da Martina e a Frate Giuseppe da Ostuni. Questa tela è la prima opera pittorica barocca presente a Martina Franca. Infatti, in basso a sinistra, sulla zoccolatura del sarcofago, è riportata la seguente iscrizione: DONATUS ANT.US DE ORLANDO / NERITON.ESIS FACIEBAT 1589, (Donato Antonio De Orlando di Nardò dipingeva nel 1589). De Orlando era un pittore salentino molto fedele ai canoni estetici imposti dal Concilio di Trento e con una particolare inclinazione verso la pittura didattica - devozionale. E’ merito della tela di D’Orlando se a Martina si inizia a respirare un clima barocco proveniente dal leccese, e se i pittori della generazione successiva ne trarranno ispirazione. Sui lati sono posizionati due dipinti del Seicento attribuiti a Frate Angelo da Copertino; a sinistra, l’Angelo custode e, a destra, la meravigliosa tela della Maddalena, che mescola due elementi tipici del barocco: la sensualità e la tragicità teatrale. I coronamenti superiori raffigurano San Pietro, nel riquadro di sinistra, San Paolo, in quello di destra e il Padre Eterno centralmente. Sempre opera di grande maestria sono i pannelli del tabernacolo che riproducono l’Annunciazione. In una nicchia a sinistra si colloca la scultura in legno intagliato e dipinto dell’Assunta (XVII secolo), opera attribuita a Nicola Fumo, scultore napoletano allievo del Fonsaga.
Volgendo lo sguardo verso l’uscita si noteranno il coro in legno (1750) e la tela del Riposo durante la fuga in Egitto, attribuita a Nicola Gliri nel XVII secolo. Il soffitto mostra all’interno di cornici mistilinee dei dipinti di fine Settecento: le Stimmate di San Francesco, la Vergine in gloria e la Resurrezione di Cristo. In alto sulla parete di destra, a metà altezza, sporge il pulpito anch’esso lavorato con intarsi lignei.
Spostiamoci sulla destra dell’edificio per proseguire la visita. Qui le prime due cappelle non sono profonde come le precedenti, si tratta semplicemente di altari a muro inseriti sotto delle arcate. Il primo altare è dedicato a San Marco, infatti un dipinto del Settecento con soggetto omonimo è riprodotto sull’ancona dell’altare. Lateralmente compaiono due santi cappuccini. Precisamente sulla sinistra si conserva la tela di San Fedele da Sigmaringhen e sulla destra San Serafino da Montegranaro. Il coronamento di altare riproduce una semplice Madonna con Bambino. La seconda cappella accoglie anch’essa un trittico con al centro una tela riproducente San Giuseppe da Copertino, anche se alcuni storici sono propensi a vedere nel dipinto San Giuseppe da Leonessa. Ai lati si collocano le tele di due santi taumaturgici; San Rocco a sinistra e Santa Bonosa a destra.
Arriviamo così all’ultima cappella, dedicata al Volto Santo e finanziata da Pietro Simeone, un ricco benestante e pio benefattore martinese del Settecento che qui si fece seppellire il 25 aprile del 1780, come ricorda la lapide affissa sulla parete di sinistra. La cappella è dominata dal coronamento dell’altare che raffigura la Madonna dei Sette Dolori, ossia l’Addolorata. La Vergine è coperta da un mantello scuro, con le mani giunte, ha un’espressione di profonda sofferenza e il petto trafitto da sette spade, che simboleggiano i sette dolori della Madonna (la profezia del vecchio Simone, la fuga in Egitto, lo smarrimento di Gesù a 12 anni, il suo viaggio al Golgota, la crocifissione, la deposizione della Croce e la sepoltura). Incastonati nella macchina lignea, ci sono diversi dipinti del XVII secolo; al centro, in basso, la Pietà e in alto la Flagellazione di Cristo, sulla sinistra, Cristo confortato dall’Angelo e sulla destra il Cristo deriso. In seguito al recente restauro è emerso che l’altare è dotato di un geniale meccanismo che permette di far ruotare la parte centrale, occupata dalla Pietà. Girando questo vano si apre un cilindro cavo che un tempo ospitava l’immagine del Volto Santo, una riproduzione su seta, che ora si trova nella chiesa del convento di Santa Maria della Misericordia. Il meccanismo serviva per l’esposizione del volto durante la devozione solenne nella settimana santa. L’intera cappella è decorata da affreschi del XVIII secolo. Nel mezzo della volta si ammira il Trionfo della Croce circondata dai Simboli della Passione e dai Quattro Evangelisti. Sulla lunetta di destra è dipinta l’Uccisione di Abele, mentre di fronte, sulla lunetta di sinistra, è raffigurato il Sacrificio di Abramo e Isacco. Sulla parete di sinistra, al centro, è affissa una scultura in legno policromo raffigurante il Crocifisso, realizzata con straordinaria fattura nel XVII secolo.
INFO: la chiesa è facilmente accessibile e non presenta barriere.
INDIRIZZO Valle d’Itria
Chiesa di San Francesco da Paola
L’Ordine dei Minimi, più noto come Ordine dei Paolotti, giunse a Martina nel 1608. In un primo tempo si stanziò presso la cappella di Santa Maria di Misericordia (la chiesa esistente prima della ricostruzione barocca della chiesa del Carmine), poi in seguito i frati preferirono trasferirsi presso un’altra antica cappella cinquecentesca dedicata alla Madonna di Costantinopoli, molto distante dal centro storico e collocata nel sito dove attualmente, si trova la Chiesa di San Francesco da Paola.
Nel 1608 i frati procedettero ad abbattere l’antica cappella preesistente per dare spazio ad una nuova chiesa con annesso convento, ma vollero comunque preservare il culto della Madonna di Costantinopoli e perciò nella nuova chiesa costruirono un altare barocco dedicandolo alla Madonna. Oggi, infatti, si trova in fondo a sinistra lateralmente al presbiterio. La chiesa fu costruita grazie alle elemosine di molti devoti, oltre che ad una cospicua donazione fatta dal Gianbattista De Leonardis, un facoltoso martinese, e ad contributo personale del duca Petracone V per la nascita nel 1664 di sua figlia (futura suor Maria Rosa). La chiesa fu terminata nel 1618 e il convento, in seguito a diversi mutamenti, nel 1668. A chiusura dei lavori ci fu una solenne celebrazione e l’Università battezzò San Francesco da Paola protettore secondario della città.
La facciata è molto semplice, ha una dimensione rettangolare e presenta tre aperture. Quella centrale è provvista di un bel portale con due colonne binate (fusto ottagonale e fusto tortile), montate su due plinti alti e reggenti un timpano spezzato che incornicia lo stemma dell’ordine. Una semplice decorazione floreale, di stampo pre-barocca, avvolge il portale, molto simile a quello di Palazzo Marino-Motolese (via Arco Casavola). In corrispondenza dei tre ingressi, nella parte sommitale della facciata, si aprono tre finestre ottagonali con cornice in pietra, coeve alla costruzione dell’edificio. Le altre due laterali a forma rettangolare furono aggiunte in un secondo momento per migliorare l’illuminazione all’interno.
La facciata in alto è coronata da una cornice dentellata caratterizzata dall’alternanza di elementi naturali; quali foglie di acanto, fiori e girali. Sul profilo si distingue una croce litica, montata su un piedistallo con due girali laterali, e quattro prismi geometrici, che rappresentano il prototipo schematizzato dei classici fiaccoloni che nel Settecento tempesteranno le vette dei monumenti martinesi.
Il convento fu soppresso nel periodo napoleonico e molte opere custodite al suo interno passarono al convento dei Domenicani, come ad esempio la tela del venerabile padre Bonaventura Gaona (1598-1643). Padre Bonaventura Gaona, al secolo Pietro Gaona, era un Frate dei Minimi oriundo di Martina e morì in concetto di santità a Roma dove fu seppellito presso la Chiesa di Sant’Andrea delle Fratte.
Nella seconda metà del Novecento il convento fu sede del Seminario Minore, chiuso alcuni anni fa. All’interno del chiostro si conservano degli affreschi sulla Vita di San Francesco da Paola.
Interno della Chiesa di San Francesco da Paola
L’interno si sviluppa attorno a tre navate, delimitate dalle arcate in pietra e sorrette da possenti pilastoni quadrati, sui quali sono affisse delle bellissime tele del Settecento raffiguranti le stazioni della Passio di Gesù Cristo.
Lungo le navate laterali, a ridosso delle pareti, si collocano tre altari in pietra finemente lavorata. Iniziamo la visita dalla navata di sinistra. Qui si può ammirare il primo altare che conserva la tela settecentesca di Sant’Andrea di Avellino e a seguire l’altare con la tela della Madonna dei Sette Dolori che copre un dipinto a muro raffigurante l’Incoronazione della Vergine. L’altare successivo è dedicato a San Francesco da Paola con una statua in pietra del 1730. Nella testata della navata si colloca un altare barocco con colonne tortili, realizzato in pietra finemente lavorata secondo i modelli leccesi. La tela d’altare del XVII secolo raffigura la Madonna di Costantinopoli con il panorama di una città. Il culto della Madonna di Costantinopoli si affermò a Napoli intorno al 1529 e poi si diffuse in tutto il Meridione. La Madonna di Costantinopoli nella storia religiosa cristiana antica è considerata la protettrice delle città dalla peste. Infatti, da un punto di vista iconografico di solito la Madonna di Costantinopoli è raffigurata con una città alla base avvolta dalle fiamme, simbolo della purificazione che solo la Vergine poteva infondere contro la peste. Non si esclude che la città dipinta sotto la Madonna sia un’ipotetica visione di come poteva apparire Martina Franca nel Seicento.
L’altare maggiore fu realizzato nel Settecento, ma nella seconda metà del Novecento fu in parte smembrato. Quello che si conserva di autentico sono alcuni frammenti di tempere che si intravedono nell’area del coro. Gli stalli del coro sono separati da colonnine tortili, mentre la cattedra è sormontata da un cartiglio che al centro riporta la scritta CHARITAS. Fra il coro e l’altare maggiore si notano ai lati due possenti colonne che presumibilmente risalgono alla precedente chiesetta della Madonna di Costantinopoli.
Continuiamo la visita lungo la navata di destra. Nella testata della navata si colloca un altro altare in stile barocco, di impronta riccamente leccese, intagliato in pietra e realizzato nel 1708 da Nunzio Ledomada, del quale non si hanno notizie. Al centro si colloca la scultura di San Michele Arcangelo mentre trafigge il demonio. Segue lungo la parete di destra l’altare con la tela ad olio del Settecento raffigurante la Madonna delle Grazie, a cui è dedicato il convento, nell’atto di allattare il Bambinello. Affianco trova posto l’altare con la scultura di Cesare Penna (1607-1680), scultore leccese, raffigurante l’Ecce Homo. E infine, in prossimità dell’ingresso, si trova la pala d’altare seicentesca dell’Immacolata fra San Gioacchino e Sant’Anna con la Santa Famiglia in viaggio per l’esilio realizzata da Marcello Arnone da Contursi (attuale Contursi Terme in provincia di Salerno).
Sospeso a metà altezza lungo la navata di destra è collocato un organo settecentesco privo della parte meccanica, ma che ancora conserva intatta l’elegante cantoria rococò. Un’iscrizione dedicatoria riporta la data e il nome del maestro organaro: 1764 / MAGISTER MICHAEL SANARICA FECIT.
Sul pavimento, rifatto recentemente, sono emerse delle botole che anticamente venivano usate per la sepoltura delle famiglie nobili, mentre la botola all'ingresso era destinata a seppellire i frati.
INFO: la chiesa è facilmente accessibile
INDIRIZZO: Piazza San Francesco da Paola
Chiesa di Santa Maria della Purità
La Chiesa di Santa Maria della Purità si colloca sull'estremità sinistra del complesso conventuale delle Agostiniane. La facciata della chiesa è solennizzata da un portale che mostra una cornice ornata da grani di rosario e da cordoli. Sui lati del portale si allungano due lesene con capitelli corinzi che fanno da spalla a due colonne con capitelli identici e reggenti sul piedritto due imponenti sculture avvolte da morbidi panneggi. Al centro si dilata una finestra mistilinea, inserita all'interno di un cartiglio finemente lavorato con l'aggiunta di cherubini e di volute. A metà altezza della facciata si apre un'altra finestra, questa volta rettangolare, con timpano ed evidenziata da due lesene poggianti su mensole molto sporgenti e sorrette da due cherubini. Quasi alla sommità si individua una lastra di pietra riproducete lo stemma dell'ordine (aquila bicipite con una cintura serrata fra le zampe).
L'interno ha la forma di un'aula rettangolare con l'apertura di cinque profonde arcate per lato. Molto ricercata ed elaborata è la decorazione interna che rientra in uno stile squisitamente rococò prediligendo l'abbondanza di decori in stucco dorato. Sulla parete di sinistra, in alto, si aprono tre finestre mistilinee che filtrano la luce all'interno, mentre sulla parete opposta e su quella dell'altare maggiore, all'interno di cornici mistilinee, sporgono dei matronei con grate spanciate, destinati a celare la presenza delle suore di clausura. La volta è segnata da cinque campate di cui una occupata dalla bussola e dal coro. Sulla volta, sotto il coro, all'interno di una cornice mistilinea, si scorge la tela della Nascita della Vergine, firmata e datata da Domenico Carella nel 1777. Sulla volta della seconda e terza campata sono collocati altri due dipinti, attribuiti a Domenico Carella; si tratta, rispettivamente di San Michele Arcangelo e dell'Assunta. L'ultima cornice mistilinea della volta è occupata da un dipinto del Cuore di Cristo.
Sotto la prima arcata di sinistra si conserva la scultura lignea del Cristo Crocifisso del XVII secolo a cui sono attribuiti diversi miracoli. Lungo le pareti si collocano due altari per lato. Sul primo altare di sinistra campeggia il dipinto della Madonna con Bambino fra i Santi Nicola da Tolentino e Tommaso da Villanova, firmato da Domenico Carella nel 1777. Nella cappella seguente domina la tela con la figura di Sant'Agostino, opera anche questa del Settecento. Sotto la terza arcata, all'interno di due teche, sono custodite le statue settecentesche di Santa Rita da Cascia e di Sant'Agostino in abiti vescovili. Sull'altare maggiore si potrà ammirare, contenuto all'interno di una ricca cornice dorata, un dipinto moderno di Maria Ausiliatrice. Lateralmente all'altare si sono due piccoli sportellini, quello di destra è il cosiddetto comunichino, ossia una finestrella che permetteva alle suore di clausura di ricevere l'ostia nascoste nel convento senza essere viste dai fedeli che partecipavano alla messa in chiesa.
A questo punto volgiamo lo sguardo verso l'ingresso per ammirare in tutta la sua magnificenza il coro che sovrasta la bussola di ingresso. Anche il coro ligneo è evidenziato dalle grate in legno e da una ricercatissima decorazione settecentesca che mette in risalto la cimasa mistilinea, recante lo stemma dell'ordine e le due fiaccole laterali. Sul soffitto del coro si riescono ad intravedere due piccole tele settecentesche; a destra, San Giuseppe e, a sinistra, Santa Rita da Cascia. Gli scranni del coro in legno sono dipinti ad olio da una variegata decorazione di soggetti allegorici, scene di vita rurale, nature morte e vedute paesaggistiche. Sono molto simili stilisticamente alle decorazioni rococò delle porte della Galleria di Palazzo Ducale, infatti, non si ignora la stessa paternità artistica.
Proseguiamo la visita lungo il lato destro. Sotto la seconda arcata si colloca un dipinto moderno del Novecento di San Giovanni Bosco. L'altare successivo dà alloggio alla preziosissima tela dell'Apparizione della Vergine ai santi Agostino e Monica, detta anche della Madonna della Consolazione o della cintura. Nella tela si raffigura la Madonna con il Bambino che porgono la cintura a Santa Monica, in abiti monacali, inginocchiata e a Sant'Agostino, in abiti vescovili. Nel 1998 in seguito ai lavori di restauri si è scoperta la paternità: PAOLO DE MATTEIS DEL 1709. Questi dati erano celati nella parte retrostante della tela e per secoli nascosti da assi di legno. La tela, molto probabilmente, fu commissionata al De Matteis dai duchi Caracciolo, essendoci in quel periodo nel monastero una figlia del duca Petracone V. Il De Matteis, allievo di Luca Giordano a Napoli e di Gianmaria Moranti a Roma, fu un talentuoso pittore riuscendo a soddisfare committenze particolarmente esigenti. Le sue opere si distinguono principalmente per un forte tono narrativo e per una spiccata carica sentimentale ed emotiva, come dimostra l'intradosso della cupola del Cappellone della Cattedrale di Taranto da lui affrescato nel 1713 con la scenografica Gloria di San Cataldo. Sull'ultimo altare fa mostra di sé un dipinto ad olio del XVIII secolo, di autore ignoto, raffigurante l'Apparizione della Madonna con il Bambino a Santa Rita da Cascia. E infine, sulla porta che conduce in convento, si trova un dipinto moderno del giovanissimo San Domenico Savio.
INFO: la chiesetta è aperta in occasioni particolari
INDIRIZZO: Piazzetta Don Bosco
FESTE PRINCIPALI: 27 agosto celebrazione in onore di Sant'Agostino e Santa Monica
31 gennaio celebrazione in onore di San Giovanni Bosco
Chiesa dell'Annunziata sede dell'Arciconfraternita del Carmine
L’Arciconfraternita del Carmine dalla seconda metà del Novecento occupa la piccola Chiesa dell’Annunziata. Le origini della chiesetta risalgono al XVI secolo e la struttura architettonica, molto lineare, mostra similitudini con altre chiesette fondate a Martina in quei secoli. Ha una pianta rettangolare e presenta sul lato corto una piccola finestra con un campanile a vela ad un solo fornice. L’ingresso attuale è collocato sul lato più lungo e non presenta nessuna decorazione, fatto salvo un medaglione con l’effigie della Madonna del Monte Carmelo e con la seguente scritta: ARCICONFRATERNITA MARIA SANTISSIMA DEL MONTE CARMELO. All’interno è allestito dal 1995 il Museo dell’Arciconfraternita del Carmine che conserva gli abiti storici dei confratelli e delle consorelle, i pesi e cilici per i riti penitenziali, le parrucche per la Madonna realizzate con capelli veri e un plastico che riproduce in ogni singolo dettaglio la processione di luglio che si snoda per le vie della città, in occasione dei festeggiamenti solenni. In fondo a destra, all’interno di una cornice in pietra con decori di stile cinquecentesco si colloca una splendida tela settecentesca della Madonna delle Rose circondata in basso dalle anime del Purgatorio e ai lati da angeli di cui due reggono la collana del Rosario.
L’Arciconfraternita del Carmine nacque trecento anni fa, e precisamente nel 1713, quando un gruppo di terziari si univa in preghiera con i carmelitani della chiesa del Carmine sotto la guida del padre spirituale Paolo Del Giudice. All’inizio il sodalizio si riuniva nei locali del chiostro del convento la cui costruzione era stata già avviata nel 1614. Crearono un vero e proprio oratorio con banchi, sedili a spalliera e con una cattedra. Inoltre nel 1720 commissionarono al talentuoso pittore martinese, Leonardo Antonio Olivieri, la tela della Madonna del Carmelo con San Simon Stock e confratelli, oggi conservata all’interno della sacrestia della chiesa del Carmine. Gli aderenti alla confraternita aumentarono di anno in anno accogliendo diversi gruppi sociali, come gli artieri della polvere bianca (muratori), i carrettieri, e centrati (produttori di chiodi per scarpe), falegnami, macellai, braccianti agricoli ma anche professionisti ed esponenti di elevato rango come alcuni esponenti della casata dei Caracciolo di Martina: fra cui Fra Giambattista Caracciolo e Don Tommaso Caracciolo, canonico della Collegiata.
La confraternita all’inizio redige il proprio statuto sul modello di quello dell’Arciconfraternita del Carmelo di Taranto e nel 1719 ottiene l’approvazione dall’arcivescovo di Taranto che oltretutto aggrega il sodalizio all’Arciconfraternita omonima di Roma; da allora la confraternita inizierà a fregiarsi del titolo di Arciconfraternita, titolo ambito che verrà riconosciuto anche alla Confraternita degli Artieri Cavalieri dell’Immacolata. La sua posizione fu ufficialmente riconosciuta il 27 giugno del 1761, quando lo statuto della confraternita ottenne il Regio Assenso da parte di Ferdinando IV di Borbone, confermando di conseguenza l’importanza storica, sociale e religiosa all’interno della comunità martinese.
L’arrivo dei Liguorini nel XIX creò diversi momenti di contrasto con l’Arciconfraternita al punto tale che il sodalizio fu costretto ad abbandonare il convento e trasferirsi altrove. Dopo aver girovagato per diversi anni fra il convento dei Paolotti, la Congrega del Santissimo Rosario (Chiesa di san Domenico) e quella di Santa Pace i confratelli, dietro un’ordinanza ministeriale del 1866, finalmente i confratelli riescono a ritornare al convento dei carmelitani. Fra il 1894 e il 1895 l’Arciconfraternita si impegna a sistemare il nuovo oratorio in un locale adiacente la sacrestia della chiesa del Carmine, affidandosi all’architetto Carmelo Semeraro per il rivestimento ligneo dell’aula e al pittore Luigi Piccardi per l’intervento decorativo. All’interno dell’oratorio si conservano sette dipinti ad olio del seconda metà del Settecento raffiguranti le Storie di Maria.
La divisa che contraddistingue la confraternita prevede un camice bianco stretto sui fianchi da un cordolo, la mozzetta color avana e lo scapolare. Solo gli amministratori della congrega hanno la divisa ricamata in oro con il bastone di argento. La confraternita è impegnata per i festeggiamenti solenni in onore della Madonna del Monte Carmelo nella settima del 16 luglio.
INFO: la confraternita è principalmente aperta la domenica mattina.
INDIRIZZO Via Pergolesi, 50
Chiesa della Santissima Trinità
L’antica chiesetta della Santissima Trinità, di origine medievale, era detta anche la chiesa dell’Ospedale perché adiacente al nosocomio cittadino. La chiesetta dal 1629 è anche sede della Confraternita della Natività e dei Dolori di Maria Santissima, nata nel 1621 per volere del padre gesuita Gabriele Mastrilli, artefice d’altronde della nascita della Confraternita dei Nobili. Questa nuova funzione modificò radicalmente la struttura originaria. Innanzitutto i confratelli a proprie spese, in pochissimo tempo, edificarono un piano superiore, destinato ad accogliere l’oratorio. Questo comportò logicamente anche la ristrutturazione della facciata che oggi si presenta scandita in due porzioni da una cornice fatta con pietre squadrate a vista. In basso si aprono due portali: il primo, quello della chiesetta, a sinistra, è molto lineare e si conclude superiormente con una finestra ovale, serrata fra due semplici fiaccole; mentre il secondo portale, a destra, rappresenta l’ingresso dell’Ospedale, e ha le fattezze tipiche del barocco: un lungo cartiglio sulla trabeazione, un timpano ondulato con al centro un medaglione accartocciato.
L’interno dell’antica chiesetta presenta una semplice aula rettangolare. Sull’altare maggiore a muro, in stile barocco realizzato in pietra verniciata, è posizionata la tela della Santissima Trinità, datata e firmata d Nicola Gliri, pittore di Bitonto, nel 1682. La tela è significativa da un punto di vista storico in quanto nella parte inferiore raffigura una veduta presunta di Martina Franca nel Seicento quando ancora disponeva della cinta muraria. Sempre in basso sulla sinistra è riprodotta l’immagine del presunto committente con le mani giunte. Sulla parete di sinistra, a metà dell’aula, si colloca una tela del XVIII secolo raffigurante la Madonna Nuova, mentre sulla parete di destra, posizionata su un altare barocco in pietra, si trova la tela di Cristo e San Giovanni di Dio, francescano fondatore dell’ordine dei Frati Ospedalieri. La tela in basso a sinistra riporta la seguente firma: BRUNUS 1748; presumibilmente si tratta Giuseppe Bruno, pittore locale della prima metà del XVIII secolo. Affianco si trova l’altare in legno del 1914 ospitante il gruppo scultoreo di Sant’Anna, San Gioacchino e la Vergine.
Attraverso una scaletta, collocata sulla destra dell’altare, è possibile raggiungere l’oratorio della Confraternita al piano superiore, qui si conserva quella che da molti critici e storici dell’arte è considerata il capolavoro della pittura martinese: la Natività di Maria. L’opera è firmata da Leonardo Antonio Olivieri ed è datata nel 1730. Leonardo Antonio Olivieri era un pittore talentuoso originario di Martina Franca che fu avviato alla formazione pittorica dal cardinale Innico Caracciolo presso la scuola napoletana del Solimena. L’artista riproduce in un ambiente intimistico la nascita della Madonna ricorrendo ad una graduale stesura cromatica ricca di tonalità iridescenti perfettamente accostate. Lo storico dell’arte Cesare Brandi in uno scritto degli anni ’60, dedicato a Martina Franca, definisce la tela “quanto di meglio, in fatto di pittura, esista a Martina.”.
La Confraternita è molto attiva, infatti, da decenni organizza durante la notte del Giovedì Santo la suggestiva processione serale dell’Addolorata che tuttora coinvolge molti fedeli. La scultura lignea dell’Addolorata portata in processione risale al XIX secolo ed è conservata tutto l’anno all’interno di una nicchia presso l’oratorio, affianco al dipinto dell’Olivieri.
L’abito confraternale è fatto da un sacco bianco e da una mozzetta azzurra. Le festività solenni della confraternita sono legate all’8 settembre, giorno della Natività della Vergine e al 15 settembre in cui si festeggia la Vergine Addolorata.
INFO: la confraternita è aperta quasi sempre la sera e la domenica mattina.
INDIRIZZO Vico Cavour
Chiesa di San Vito
La Chiesa di San Vito è considerata fra le più antiche di Martina Franca sorta, con ogni probabilità, all’inizio del XIV secolo in seguito alla fondazione della città da parte di Filippo D’Angiò, lungo la via principale che saliva dalla Porta di San Nicola verso il rione Montedoro. A confermare l’impronta angioina sulla chiesetta si può osservare sul portale ad ogiva dell’antico ingresso principale (largo Ciaia) un giglio stilizzato dei francesi.
La facciata principale è segnata dalle bugne delle pietre e in alto collima con un campanile a vela con tre fornici a tutto sesto. Sicuramente in origine il prospetto doveva essere a falde spioventi, infatti, sulla facciata si intravede chiaramente l’andamento obliquo dei due spioventi prima della sopraelevazione della stessa intorno al XVIII secolo. Infatti, nel Settecento l’edificio fu ristrutturato completamente sia all’interno che all’esterno aprendo un ulteriore varco sul lato più corto (via Mazzini), e dando un’impostazione longitudinale allo spazio interno.
L’interno della chiesa è costituito da un’aula rettangolare con vistosi rifacimenti decorativi in chiave barocca. Sull’altare maggiore domina la statua litica di San Vito con ai piedi il cagnolino. Questa statua fu commissionata da Pietro Simeone, mecenate martinese di grande sensibilità, nel 1779 (l’indicazione è riportata sull’epigrafe alla base della statua), ad uno mastro scalpellino locale, probabilmente Angelo Micheli. Lungo la parete si aprono tre altari a muro di cui due dedicati alla Madonna. Quello centrale è stato realizzato nel 1778, anche questo a spese di Pietro Simeone, come riporta chiaramente il cartiglio e lo stemma collocato sul coronamento dell’altare. Sul lato opposto, a metà parete, sporge una cantoria di legno.
La chiesa è citata nella letteratura della storia di Martina Franca per aver custodito nel 1645 le reliquie di Santa Comasia, santa compatrona della città. Si racconta che durante una solenne processione in cui venivano traslate le reliquie dalla chiesa di San Nicola del Pendino (oggi ridotta a rudere) alla chiesa di San Martino, improvvisamente si abbatté un temporale inaspettato e violento sulla città, cosicché si preferì custodire le reliquie nella chiesa di San Vito per alcuni giorni, aspettando tempi migliori. Da allora Santa Comasia fu associata alla pioggia e invocata e portata in processione in tempi di siccità.
INFO: la chiesa è sempre aperta, ed è facilmente accessibile dall’ingresso di via Mazzini.
INDIRIZZO Largo Ciaia
Chiesa di San Nicola in Montedoro
L’attuale chiesetta di San Nicola in Montedoro sorge su un sito che nel Trecento era occupato dalla Chiesa di San Paolo dei Greci, il cui nome indicava anche il vicinato. Questa chiesetta andò in rovina nel XVI secolo e fu ricostruita nel XVII chiamandosi prima San Nicola dei Poveri, perché in passato insieme all’Ospedaletto (vico Cavour), era dedita principalmente ad attività di carattere socio-assistenziali, poi in seconda battuta fu chiamata San Nicola in Montedoro. La specifica Montedoro (nome di un’antica famiglia ora estinta) indica il nome del rione in cui si colloca.
La struttura della chiesa è definita da una semplice aula rettangolare e da elementi architettonici tardo-medievale visibili soprattutto all’esterno; come il portale ad ogiva, la nicchia lunettata, il piccolo rosone a raggiera e il campanile ad una vela. La copertura della fabbrica è fatta da un tetto a falde rialzate incrociate con rivestimento realizzato con le tipiche chiancarelle (mattoncini in pietra calcarea).
L’interno è stato più volte rimaneggiato, come ad esempio gli altari in pietra realizzati nel Seicento e il vasto repertorio pittorico realizzato fra il Cinquecento e l’Ottocento. Molti affreschi sono stati ridipinti con sovrapposizioni evidentissime, in altri casi la pellicola pittorica è stata scalpellata completamente lasciando in bella mostra solo alcune tracce della sinopia. Per la lettura partiamo dall’affresco centrale che raffigura la Madonna delle Grazie con San Nicola, San Benedetto, Santa Scolastica e una santa martire, probabilmente Santa Comasia. Il dipinto murale è stato pesantemente ritoccato nel 1802 dal pittore locale Francesco Carella, figlio e allievo fedele di Domenico Carella, come chiaramente si deduce da una scritta collocata a destra del dipinto. Inoltre le testimonianze pittoriche rinvenute in alcuni saggi centrali e nella fascia sottostante evidenziano l’esistenza di affreschi precedenti che sembrano riprodurre in parte gli stessi soggetti ripresi dal Carella. Volgendo lo sguardo in senso orario, sul costolone, si intravede la figura elegante di un individuo, forse il committente; seguono sulla destra il dipinto di Sant’Antonio Abate, la Pietà e la Madonna del Rosario con i clipei che riportano gli episodi più significativi della vita del Cristo. Sulla parete laterale alla porta di ingresso si scorgono Sant’Antonio da Padova da un lato e San Francesco da Paola dall’altro. Gli affreschi della parete di sinistra in buona parte sono stati rimossi nei secoli passati: Ciò che rimane raffigura la Strage degli innocenti nella parte bassa, Santa Margherita con un’iscrizione dedicatoria riportante una data incompleta del XVII secolo e infine la Trinità in alto.
La chiesa era detta anche di San Nicola dei Poveri.
INFO: la chiesa è quasi sempre chiusa
INDIRIZZO Via Cristoforo Colombo
Chiesa di San Pietro dei Greci
L’antica chiesetta di origine medievale rappresenta una testimonianza significativa della presenza di una nutrita comunità greca che si insediò a Martina già intorno al XIV secolo, attirati in parte dai privilegi e dalle franchigie avviate dalla dominazione angioina. Essi costruirono due chiese all’interno del centro storico: quella di San Giovanni (largo Buonarroti), e questa, dedicata a San Pietro, in cui si officiava secondo il rito scismatico-orientale e perciò entrambe erano dette dei Greci.
La chiesa presenta un tipico impianto medievale costituito da un’unica aula rettangolare. Anticamente l’ingresso principale era collocato sul lato più corto, in Via Cavour, la cui cornice è di gusto rinascimentale. In un secondo momento si aprì l’attuale ingresso sul lato più lungo, a ridosso della piazzetta, adornandolo con una lunetta e con un campanile a vela dotato di una croce litica. Inoltre furono aperte due finestre, distruggendo all’interno degli affreschi preesistenti. La copertura esterna è fatta con un tetto aguzzo. All’interno, sulla parete dell’altare a muro principale, c’è la tempera di San Pietro e San Paolo. Sulle restanti pareti della chiesetta si trovano le tempere di Santa Lucia e Santa Agata. Nella piccola sagrestia vi è un affresco raffigurante l’Ecce Homo.
Nel 1888 fu istituita presso questa chiesa la Confraternita del Preziosissimo Sangue che ebbe breve durata, infatti, si estinse negli anni ’50 del XX secolo. Si conserva, a testimonianza di questo, una scultura raffigurante il Sangue sparso di Cristo e una tela riproducente lo stesso soggetto.
INFO: la chiesa è quasi sempre chiusa, l’ingresso è dotato di uno scivolo laterale.
INDIRIZZO Largo San Pietro
Chiesa del Monte Purgatorio
La Chiesa del Monte del Purgatorio fu fondata nel XVII secolo, dedicata alla Vergine delle Grazie del Monte e destinata ad accogliere la Confraternita dei Preti. Infatti, come la maggior parte delle chiese, ospitanti i sodalizi religiosi, si compongono di due piani; quello inferiore destinato al culto religioso e quello superiore adibito ad oratorio dei confratelli. La chiesa fu edificata nel 1649, come chiaramente si può leggere sulla trabeazione del portale secondario che si affaccia lungo via Vittorio Emanuele. L’iscrizione incisa dice: VOS, ANIMAE CLAMANT, SALTEM, MISERAE SCITE, FRATRES, 1649, (Le anime infelici vi chiedono aiuto, sappiatelo almeno, o fratelli, 1649).
L’ingresso secondario è semplicemente evidenziato da una cornice a cordoli, invece, molto più interessante è la decorazione della finestra in asse del piano superiore. La finestra, oggi murata, è definita da un arco a tutto sesto con un puttino sulla chiave di volta. La trabeazione è decorata da rossette, tipiche della decorazione rinascimentale, e inserite in metope quadrate. Su questo prospetto si può ammirare la cella della torre campanaria. Girando ad angolo, su via Cirillo, giungiamo di fronte alla facciata principale che è segnata da un portale con trabeazione e lunetta raffiguranti le Anime del Purgatorio. Anche su questa trabeazione vi è un’iscrizione latina: UT CRUCIAT POENAE, CHARITAS SIC URGEAT OES, (Come le pene danno torture, così la carità solleciti tutti). Sulla cornice del marcapiano trovano spazio un’edicola rotondeggiante con il dipinto della Madonna con Bambino e due finestre monofore.
L’interno è caratterizzato da un’aula rettangolare interamente dipinta con l’effetto del finto marmo policromo. Tutto il soffitto è decorato a tempera riproducendo l’effetto di una volta con lacunari ottagonali e quadrati, ornati centralmente da roselline. Nel sottovolto, all’interno di vele a forma di unghia, compaiono dei dipinti a tempera raffiguranti le immagini allegoriche delle Virtù e le Anime del Purgatorio attorniate dalle fiamme. All’interno di questa chiesa è conservata una delle opere più significative del pittore martinese; Giovanni Caramia, vissuto nel Seicento. Si tratta di San Michele Arcangelo con le anime purganti, realizzata con colori brillanti e fiammeggianti all’interno di una ricchissima scena teatrale, quasi visionaria per la ricchezza e l’affollamento delle molte figure che animano la tela. Sull’altare maggiore, in stile barocco, sovrasta la statua litica della Beata Vergine delle Grazie (XVII secolo).
Al piano superiore si colloca l’oratorio della Confraternita dei Preti. Il soffitto è interamente coperto da tavole in legno rivestite da tele dipinte nel XVII secolo. Si tratta di un meraviglioso tromp d’oeil, realizzato con prospettiva vista dal basso, di una balconata con colonnine spanciate che percorre tutti e quattro i lati dell’oratorio. Sul cornicione della balaustra si muove un’infinità di putti che reggono ghirlande di fiori, oppure dei quadretti con le anime del purgatorio. La balconata e i putti si stagliano su un fondo di un intenso azzurro che dà ancora più risalto alla composizione. Al centro, all’interno di una cornice, è raffigurata la Deposizione del Cristo dalla croce.
INFO: la chiesa è chiusa al pubblico
INDIRIZZO Via Cirillo, 1
Chiesa di San Giovanni dei Greci - Confraternita di Maria Santissima Assunta in cielo
La Chiesa di San Giovanni dei Greci insieme a quella di San Pietro dei Greci (largo San Pietro) fu fondata da colonie di greci che si stanziarono a Martina presumibilmente durante il periodo angioino, integrandosi perfettamente con la popolazione autoctona che pian piano andava costituendo l’originario nucleo del Casale della Franca Martina. La struttura originaria, con buona probabilità risale al XIV secolo, e fu ampliamente rimaneggiata nel Seicento, quando precisamente nel 1628, per volontà dei Gesuiti fu istituita la Confraternita della Beata Vergine Assunta che provvide a costruire l’oratorio elevando il piano superiore. I lavori si conclusero nel 1636. Questa sopraelevazione modificò il prospetto originario della chiesa, pur tuttavia conservando l’originale struttura interna a pianta rettangolare. Sulla facciata al primo ordine si colloca un portale semplicissimo; al secondo ordine, spiccano la cornice mistilinea della finestra cieca centrale e le cornici mistilinee delle due finestre laterali, più piccole. La cimasa superiore è delimitata da un timpano che alterna le linee concave a quelle convesse con dei fiaccoloni in pietra dalle forme geometriche. Al centro del timpano, in un fornice, si apre una loggia con balaustra ospitante la campana. Sul portale laterale si colloca una scritta visibilissima: CONGREGA MARIA SS. ASSUNTA IN CIELO AD 29 06 1777, sotto un clipeo azzurro che fa da sfondo ad una stella bianca (simbolo della confraternita). La data fa riferimento al riconoscimento ufficiale, il cosiddetto Regio Assenso, che la congrega ebbe dal re Fernando IV Borbone.
All’interno si segnala un coro ligneo, inserito a metà altezza sulla parete di destra, e l’altare maggiore in pietra del XVIII secolo con la tela coeva del Santo Battista. Lateralmente si conserva la statua ottocentesca dell’Assunta realizzata da Leonardo Greco, scultore di Ostuni. Molte sono le peripezie e i miracoli attributi a questa statua. In realtà la statua scolpita da Greco giunse a Martina nel 1820 e negli anni precedenti i confratelli per adempiere ai riti religioso, specie le processioni nel mese di agosto, prendevano in prestito la statua dell’Assunta (opera attribuita a Nicola Fumo), che ancora oggi si venera nella chiesa di Sant’Antonio dei Cappuccini. Nel 1819 non fu più accordata questa disponibilità da parte della chiesa di Sant’Antonio dei Cappuccini e cosicché i confratelli decisero di commissionare un proprio simulacro allo scultore Leonardo Greco di Ostuni (figlio dello scultore che ha realizzato la statua di Sant’Oronzo sulla guglia ad Ostuni). La statua fu pronta per l’agosto del 1821 e ben 16 confratelli a piedi si recarono ad Ostuni per trasportarla a Martina Franca. Una faticaccia immensa se si pensa al peso della statua in legno e al caldo torrido e afoso di agosto. La statua giunse a Martina in tarda nottata e pare che il suo arrivo fu causa di diverse guarigioni e prodigi.
Agli inizi del Novecento la chiesa fu consacrata al culto del Cuore di Gesù e questo giustifica la presenza della tela sulla parete di sinistra. L’abito dei confratelli è caratterizzato da una tonaca bianca con mozzetta e scapolare celeste decorato da delle stelle. La confraternita è impegnata nei festeggiamenti solenni in onore nell’Assunta il 15 agosto.
INFO: è aperta per officiare in occasioni particolari. C’è una pedana laterale per facilitare l’ingresso.
INDIRIZZO Largo Buonarroti
Chiese minori:
Chiesa dello Spirito Santo
Deliziosa chiesa dedicata alla Trinità, alla quale è dedicato un affresco ospitato nella parte superiore del portale, la Chiesa dello Spirito Santo, anticamente una cappella rupestre, fu ricostruita nel 1598.
Chiesa di Cristo Re
Situata nelle vicinanze della piazza centrale della città, la Chiesa di Cristo Re fu eretta nel 1963.
Esternamente presenta una notevole cupola e un'ampia scalinata, seguita da un porticato che lascia ben osservare la caratteristica pietra calcarea martinese utilizzata per la sua realizzazione.
L'interno, molto ampio, custodisce un mirabile fonte battesimale in marmo di Carrara, pregiate statue (S. Francesco d'Assisi, S. Antonio da Padova) e un'edicola con ornamenti in rame.
Chiesa Regina Mundi
Consacrata nel 1984, la Chiesa Regina Mundi, eretta in stile moderno, sorge nelle strette vicinanze della Chiesa della Madonna di Loreto e di S. Michele.
Caratteristiche le cinque campane che arricchiscono la facciata, intitolate a S. Martino, Regina Mundi, S. Pietro, S. Cataldo e S. Paolo.
Chiesa della Santa Famiglia
Di recente costruzione (1982), la Chiesa della Santa Famiglia presenta un elegante interno impreziosito dal pregiato gruppo statuario della Santa Famiglia e, soprattutto, dal grande e scenografico mosaico, realizzato tra il 1991 ed il 1996, su fondo di oro zecchino, con tessere di smalti vetrosi.
Chiesa della Sanità
La Chiesa della Sanità, con la vicina e antica chiesa omonima (del sec. VII, con la facciata ingentilita da un rosone ed una piccola nicchia con affresco), fu eretta negli anni '40. All'interno custodisce un mirabile affresco della Madonna della Sanità (1750), precedentemente custodito nell'antica chiesa.
Di grande rilievo, all'esterno, una deliziosa statua della Madonna delle Grazie, in passato custodita nella Chiesa di S. Francesco d'Assisi, e una più recente dedicata al culto di Sant'Agostino.
Chiesa di Santa Maria della Purità presso il Convento delle Agostiniane
Il 16 giugno del 1653 veniva eseguita da monsignore Tommaso Caracciolo la disposizione papale di Innocenzo X di sopprimere il convento francescano dei Santi Filippo e San Giacomo e destinare le rendite di quest'ultimo a favore della fondazione di un convento di clausura femminile intitolato a Santa Maria della Purità. Il complesso monastico fu fondato sul territorio che faceva parte dell'originario casale longobardo risalente al VIII e IX secolo. Qui sorgeva un antica cappella dedicata a San Nicola dell'Appennino. Il convento che si ispirava alla regola di Sant'Agostino è anche detto delle Monache Grandi per distinguerlo da quello del Conservatorio delle Monacelle, ossia delle Monache Piccole. La differenza principale fra i due ordini monastici femminili era principalmente dettata dalle possibilità economiche delle novizie. Infatti, il convento delle Monache Grandi ospitò soprattutto esponenti delle famiglie più benestanti di Martina.
La severità della regola claustrale è implicitamente comunicata da una struttura possente, caratterizzata da mura altissime; il tocco di una scenografia barocca spicca soprattutto sul cornicione del terrazzo, infatti, tutta la struttura è circondata da una balausta traforata con fiaccoloni e statue di angeli posizionati come guardiani della vita ascetica e mistica delle monache. Spicca, in alto, il belvedere con le sue forme sinuose tale da essere paragonata alla cella campanaria di Sant'Andrea delle Fratte (1654 c.) del Borromini. La struttura ruota attorno ad un chiostro con pozzo ottagonale.
La chiesetta è in stile rococò. E' l'unica nel suo genere a Martina Franca, l'interno è abbondantemente decorato con marmi policromi, con cartigli e volute in stucco e con rifiniture dorate. L'interno presenta una sola navata scandita da quattro campate, sostenute da possenti arcate. In questa chiesa si possono ammirare delle tele di due noti pittori del settecento martinese:Domenico Carella e di Paolo De Matteis. Il coro ligneo sormonta la bussola di ingresso della chiesa, i pannelli in legno del coro sono decorati con motivi floreali, esotici e mitologici. Queste decorazioni sono molto simili a quella delle porte interne del Palazzo Ducale.
Il portale di ingresso della cappella presenta lateralmente delle colonne scanalate sormontate da due guardie cariatidi, esempi di una imponente scultura monumentale.
Attualmente il convento è occupato dalle Figlie di Maria Ausiliatrice.
Chiesa di Santa Maria della Misericordia presso la fondazione Caracciolo De Sangro
Il complesso monastico nacque nel 1725 per volontà, come ricorda una lapide collocata sulla sinistra della chiesetta, di Aurelia Imperiali, vedova del duca Petracone V Caracciolo nel 1725 e di Isabella Avalos. L'intento era quello di ospitare povere fanciulle povere ed orfane disposte a vestire l'abito delle Agostiniane e a condividere la regola. Il convento principalmente ospitò fanciulle di estrazione sociale umile o che avevano "perigliato nell'errore", le fanciulle ad una certa età potevano anche decidere di uscire dal convento e sposarsi; in questo caso addirittura il convento offriva loro una certa dote. Nel convento si svolgeva principalmente la funzione educativa delle cosiddette "arti donnesche" legate al ricamo, alla pasticceria, alla sartoria ecc.
Il complesso nacque dall'aggregazione di diversi edifici abitativi e il nucleo più consistente fu della famiglia Turnone. Perciò, il convento non presenta la classica tipologia del chiostro centrale con l'edificio ruotante attorno, come si può riscontrare nelle Agostiniane.
Il portale di ingresso del convento, a bugnato tardo-rinascimentale è nascosto in un vicolo cieco e può essere paragonato ad un tipico palazzo civile. Si entra da un androne, che sostituisce il tipico chiostro di ogni struttura monastica. Nella parte superiore si può ammirare un belvedere protetto dalla tipica grata spanciata e una balaustra in pietra traforata, i cui disegni sembrano avere una "simbologia esoterica".
La cappella, detta della Madonna della Misericordia, ha un ingresso autonomo. All'interno della chiesetta si possono ammirare due altari barocchi maestosi, sul lato sinistro, in alto, ci sono due cori con grate spanciate destinate alle suore di clausura.
Nella chiesetta si conserva l'effigie del Volto Santo che è conservato in una cornice di argento.
La struttura attualmente è la sede della Biblioteca della Fondazione "Paolo Grassi".